Per una salute ottimale tutti abbiamo bisogno di acidi grassi Omega-3 EPA e DHA, quotidianamente.

Numerosi studi suggeriscono che gli Omega-3 possano essere utili nel trattamento di diversi disturbi patologici, vediamoli insieme.

Trigliceridi e colesterolo elevati

E’ noto che chi segue il regime alimentare tipico della dieta mediterranea tende ad avere livelli di colesterolo HDL (il cosiddetto “colesterolo buono”) elevati. Allo stesso modo, le popolazioni eschimesi, che mangiando molto pesce consumano quantità elevate di acidi grassi Omega-3, tendono ad avere non solo livelli elevati di colesterolo HDL, ma anche una concentrazione ridotta di trigliceridi nel plasma.

Inoltre è stata evidenziata la capacità dei supplementi di olio di pesce contenenti EPA e DHA di ridurre significativamente sia i livelli di trigliceridi, sia quelli di colesterolo non-HDL (ossia il “colesterolo cattivo”).

Ipertensione

Diversi studi suggeriscono che in chi soffre di ipertensione un’alimentazione ricca di EPA e DHA può abbassare significativamente la pressione sanguigna.

Tuttavia non è possibile sfruttare questa proprietà degli acidi grassi Omega-3 semplicemente aumentando le porzioni di pesce introdotte con la dieta. Infatti i pesci come il tonno sono ricchi anche di mercurio e, quindi, possono provocare l’effetto contrario e aumentare la pressione.

In caso di ipertensione è preferibile assumere integratori di olio di pesce concentrato ottenuti tramite processi di purificazione avanzata mediante distillazione molecolare multipla.

Solo questi processi, infatti, garantiscono l’assenza di metalli pesanti e altri contaminanti.

Malattie del cuore

Uno dei modi migliori per prevenire e combattere i disturbi cardiaci consiste nel seguire un regime alimentare ricco di Omega-3.

Infatti diversi studi suggeriscono che sia l’EPA che il DHA contenuti nei pesci marini e nelle microalghe contribuiscano a ridurre i fattori di rischio cardiovascolare.

EPA e DHA contrasterebbero tassi di trigliceridi e di colesterolo LDL (il cosiddetto colesterolo “cattivo”), ridurrebbero la pressione sanguigna e ostacolerebbero la formazione e lo sviluppo delle placche aterosclerotiche che, ostruendo le arterie, possono causare infarti e ictus.

Non solo, alcuni studi hanno rilevato una riduzione del rischio di morte, di attacchi di cuore e di ictus in pazienti reduci da infarto che abbiano assunto quotidianamente una dose adeguata di EPA e DHA.

Secondo l’American Heart Association (AHA) la dose minima di Omega-3 per chi ha sofferto di un attacco cardiaco è di 900 mg.

L’International Society for the Study of the Fatty Acids and Lipids (ISSFAL), invece, raccomanda a chi non soffre di disturbi cardiaci di assumere almeno 500 mg di EPA e DHA al giorno per mantenere il cuore in forma.

Ictus

Diversi studi clinici suggeriscono che gli acidi grassi Omega-3 proteggano dagli ictus causati dalla formazione di grumi di sangue nelle arterie cerebrali. In particolare, il rischio di ictus può essere ridotto del 50% consumando almeno due porzioni di pesce grasso alla settimana, pari a circa 900 mg di EPA e DHA al giorno.

Problemi di peso (sovrappeso e perdita di peso)

Molte persone in sovrappeso non riescono a controllare bene il livello di zuccheri nel sangue.

Per questo spesso l’eccesso di peso è associato allo sviluppo del diabete e ad alti livelli di trigliceridi e colesterolo nel sangue.

Vari studi hanno suggerito che una dieta a basso contenuto di grassi, ma ricca di pesce che contenga EPA e DHA (come il salmone, lo sgombro e le aringhe) aiuti, se abbinata all’esercizio fisico, a controllare meglio le concentrazioni ematiche di zuccheri e di colesterolo.

Artrite reumatoide

L’analisi dei dati raccolti nel corso di vari studi clinici ha dimostrato che nei pazienti che soffrono di artrite reumatoide l’utilizzo di integratori di Omega-3 riduce la fragilità delle giunture, la rigidità mattutina e la necessità di assumere farmaci specifici.

Non solo, numerose ricerche condotte su cellule della cartilagine hanno dimostrato che EPA e DHA potrebbero diminuire l’infiammazione e l’attività degli enzimi che distruggono questo tessuto.

Altri studi di laboratorio suggeriscono, inoltre, che un’alimentazione ricca di Omega-3 e a basso contenuto di Omega-6 possa essere utile in caso di altri disturbi infiammatori, come l’osteoartrite.

Osteoporosi

Un’alimentazione carente di acidi grassi essenziali, tra cui l’Omega-3 EPA, aumenta la probabilità di perdere massa ossea. Questo suggerisce che i supplenti a base di EPA possano essere utili per lasalute delle ossa.

In effetti uno studio condotto su donne di età superiore ai 65 anni, tutte affette da osteoporosi, ha dimostrato che sia questo Omega-3, sia un altro acido grasso essenziale (detto gamma-linoleico) diminuiscono i livelli di perdita ossea.

In molti casi è stato addirittura osservato un aumento della densità delle ossa. Inoltre diversi studi suggeriscono che lo stesso EPA contribuisca a migliorare la resistenza delle ossa e ad aumentare i livelli di calcio e il suo deposito nello scheletro.

Malattie della pelle

I 2 disturbi della pelle che potrebbero migliorare con l’assunzione di Omega-3 sono la fotodermatite, una malattia che rende particolarmente sensibili all’esposizione al sole, e la psoriasi.

Gli integratori di olio di pesce si sono dimostrati utili nel ridurre la sensibilità ai raggi ultravioletti in chi soffre di fotodermatite. Tuttavia, la loro efficacia protettiva è inferiore rispetto a quella delle protezioni solari applicate direttamente sulla pelle.

 Nel caso della psoriasi, invece, uno studio che ha coinvolto 40 pazienti ha dimostrato che l’associazione tra farmaci ed EPA porta a un miglioramento dei sintomi maggiore rispetto a quello ottenuto con la sola terapia farmacologica.

Sindrome del colon irritabile

Analisi preliminari hanno dimostrato che gli acidi grassi Omega-3, in associazione con i farmaci per  il trattamento delle diverse forme di sindrome del colon irritabile (come la sulfasalazina), possono ridurre i sintomi sia della malattia di Crohn, sia della colite ulcerosa.

 In particolare, secondo uno studio italiano nel caso della malattia di Chron la dose di Omega-3 che consente di ritardare la ricomparsa dei sintomi corrisponde a 2,7 g totali di EPA e DHA al giorno per un anno.

Asma

Alcune ricerche preliminari suggeriscono che gli Omega-3 potrebbero diminuire l’infiammazione associata all’asma e migliorare la funzionalità polmonare negli individui che ne soffrono. Viceversa, gli Omega-6 tendono ad aumentare i processi infiammatori e a peggiorare le funzioni dei polmoni.

Inoltre, secondo uno studio che ha previsto la somministrazione di olio di pesce per 10 mesi a 29 bambini asmatici, l’assunzione di prodotti ricchi di EPA e DHA riduce i sintomi associati a questo disturbo anche nei più piccoli.

Degenerazione maculare

Sono diversi gli studi che suggeriscono i benefici degli Omega-3 per chi soffre di degenerazione maculare, una malattia degli occhi che può causare la perdita della vista. Un questionario distribuito a più di 3.000 persone di età superiore ai 49 anni ha dimostrato, ad esempio, che una dieta ricca di pesce diminuisce la probabilità di sviluppare questa malattia.

Allo stesso modo, uno studio che ha coinvolto 850 persone ha rivelato che consumi elevati di pesce e regimi alimentari che garantiscono un corretto apporto di Omega-3 e Omega-6 rendono meno propensi a contrarre questa malattia. E un’analisi di dimensioni più ampie ha confermato che mangiare pesce ricco di EPA e DHA più di quattro volte alla settimana può ridurne il rischio.

Dolori mestruali

Anche i sintomi legati al ciclo mestruale potrebbero essere contrastati con gli Omega-3. Infatti uno studio condotto su circa 200 donne danesi ha evidenziato che arricchire l’alimentazione di questi acidi grassi allevia la sindrome mestruale.

Disordine da deficit di attenzione e da iperattività (Attention Deficit/Hyperactivity Disorder – ADHD)

Diverse ricerche suggeriscono che gli Omega-3 svolgano un ruolo importante nello sviluppo dell’ADHD. In particolare, uno studio che ha coinvolto 100 bambini ha svelato una correlazione tra bassi livelli di questi acidi grassi e problemi di apprendimento e comportamentali.

E alcuni indizi di un’associazione tra Omega-3 e ADHD derivano anche da studi condotti sugli animali, in cui una diminuzione dei livelli di queste sostanze è accompagnata dalla riduzione di molecole cerebrali,  come dopamina serotonina, importanti per l’attenzione e la motivazione.

Depressione

EPA e DHA sono fondamentali per consentire una comunicazione ottimale fra le cellule nervose e garantire la salute del cervello.

Per questo chi non introduce con la dieta livelli adeguati di Omega-3 o non mantiene l’equilibrio corretto tra questi e gli acidi grassi Omega-6 è a maggior rischio di sviluppare stati depressivi.

 Infatti uno studio condotto su pazienti ricoverati a causa di gravi depressioni ha riscontrato livelli di EPA più bassi rispetto al normale e un aumento significativo del rapporto tra Omega-6 e Omega-3.

L’esistenza di una correlazione tra Omega-3 e depressione è, inoltre, confermato da una ricerca che ha dimostrato che un regime alimentare equilibrato, che comprenda 2-3 porzioni di pesce grasso alla settimana, favorisce nell’arco di 5 anni la riduzione delle crisi di depressione e della loro intensità.

Disordine bipolare

Secondo uno studio condotto su 30 pazienti affetti da disordine bipolare, l’alternanza tra periodi di euforia e di depressione tipica di questo disturbo è ridotta significativamente se la cura con farmaci che stabilizzano l’umore è abbinata all’assunzione di EPA e DHA.

Questo trattamento combinato è risultato efficace in soli quattro mesi.


Omega-3 e tumori

Cancro al colon

Il consumo di quantità significative di alimenti ricchi in acidi grassi Omega-3 sembrerebbe avere un ruolo protettivo nei confronti del cancro al colon retto. Ad esempio, le popolazioni eschimesi, che tendono a seguire una dieta ad alta percentuale di grassi e, allo stesso tempo, ricca di pesce ad elevato contenuto di Omega-3, sono caratterizzate da una bassa incidenza di questa forma tumorale.

Al contrario, alcune ricerche suggeriscono che gli Omega-6 potrebbero promuoverne lo sviluppo. E i benefici degli Omega-3, vanno, in questo caso, oltre la prevenzione, andando ad impedire  l’aggravamento del cancro. Il consumo quotidiano di EPA e di DHA sembrerebbe ritardare o persino invertire la progressione del tumore nelle fasi iniziali della malattia.

Cancro al seno

Le donne che consumano regolarmente e per molti anni alimenti ricchi di Omega-3 sembrano essere meno soggette allo sviluppo di forme tumorali al seno.

Non solo, un consumo elevato di pesce ricco in questi acidi grassi e di alghe marroni della famiglia kelp riduce il rischio di morte per cancro al seno. Ciò è particolarmente vero per le donne che sostituiscono la carne con il pesce.

L’equilibrio fra acidi grassi Omega-3 e Omega-6 sembra svolgere un ruolo importante nello sviluppo e nella crescita di questo tipo di cancro, anche in terapie combinate con le vitamine E e C, il  beta-carotene, il selenio e il coenzima Q10.

Cancro alla prostata

Come nel caso del cancro al seno, anche il rischio di tumore alla prostata è ridotto da un buon equilibrio tra acidi grassi Omega-3 e Omega-6. La loro funzione protettiva nei confronti di questo cancro è stata suggerita da studi clinici che hanno valutato il ruolo preventivo di una dieta a bassa percentuale di grassi comprendente pesce e olio di pesce.

E anche ricerche di laboratorio e studi sugli animali indicano che EPA e DHA potrebbero inibire lo sviluppo di questo tipo di tumore.

(Fonte: www.omegor.com)

È ormai da molti anni che in Medicina Veterinaria, accanto all’allopatia coesistono diverse discipline mediche definite comunemente ‘non convenzionali’, ‘complementari’, ‘alternative’, ‘energetiche’, ‘naturali’.
Si tratta di medicine ‘altre’ che, analogamente a quanto avviene nella sanità per l’uomo, integrano e potenziano la veterinaria convenzionale. Queste discipline mediche si differenziano dall’allopatia per alcuni importanti aspetti.

L’allopatia, che pure ha tantissimi e riconosciuti meriti, ha sviluppato un approccio analitico – meccanicistico della medicina che ha indotto ad uno studio frammentario ed ultraspecialistico del corpo.
Ne è derivato un modello terapeutico il cui effetto specifico è mirato solo su un particolare organo bersaglio, quello ‘malato’, quasi esistesse al di fuori dell’intero organismo, con scarsa o nulla considerazione per i fattori ambientali esterni o per i fattori psico – comportamentali del soggetto.

Le medicine non convenzionali (MNC), invece, hanno un approccio di tipo relativistico – energetico che permette uno studio integrato ed olistico (dal greco óλoÇ: tutto) del corpo.

Pertanto il tipo di terapia attuato è volto all’interezza del soggetto, inteso come un microcosmo in cui organi, tessuti, processi fisiologici e patologici, fattori ambientali esterni, fattori psico – comportamentali costituiscono una rete dinamica di configurazioni non separabili di energia.

Questa energia è quella di cui si parla nelle teorie della moderna fisica in cui l’assunto principale è racchiuso nella ben nota formula einsteiniana che sancisce la definitiva uguaglianza tra energia e materia: E = m c2.

Di fatto la fisica della relatività e la fisica quantistica hanno indotto ad una profonda revisione della concezione dell’universo, e stanno determinando la transizione a nuovi modelli scientifici anche per la medicina veterinaria.
Si viene così a configurare una rete di informazioni tra energia e materia in cui il tutto è maggiore della somma delle parti e ogni parte contiene il tutto. In questo nuovo ambito il medico veterinario si colloca come un ordinatore della salute, aspetta il momento opportuno, tocca appena il corpo dell’animale lasciando agire le capacità di auto guarigione proprie del soggetto, riportandolo in quella condizione di equilibrio dinamico che è la condizione di salute e benessere.

Le MNC nell’assicurare il mantenimento del sistema energetico dell’animale, danno grande importanza alle influenze genetiche, alla tipologia propria del singolo individuo, alle sue interazioni con l’ambiente esterno, ed attuano la prevenzione come unico efficace modello di cura.

Consideriamo nello specifico le diverse discipline.

OMEOPATIA
Si tratta di un complesso sistema medico elaborato dal Dr. Samuel Hahnemann, basato sul principio Similia similibus curentur (i simili curano i simili).
Secondo questa disciplina, le dosi minime sono estremamente efficaci e possono indurre i sintomi della patologia che si vuol curare, stimolando però le capacità di risposta proprie dell’organismo.

Allo scopo vengono impiegate sostanze vegetali, minerali, animali fortemente diluite per passaggi seriali in acqua tanto che la soluzione finale non contiene alcuna molecola della sostanza di partenza. In tal modo si sfrutta la capacità di risonanza energetica dell’acqua che è così in grado di veicolare l’informazione elettromagnetica lasciata dalla sostanza originale.

Normalmente, prima dell’assunzione, la ‘miscela’ così ottenuta viene sottoposta a succussione, cioè viene vigorosamente agitata al fine di dinamizzare l’informazione energetica che dovrà stimolare l’organismo.
Attualmente sono disponibili anche rimedi omeopatici in forma di granuli o globuli. La prescrizione omeopatica è strettamente individuale, e solo dopo un’attenta analisi della sintomatologia (in questo si ricorre all’impiego di ponderose materie mediche omeopatiche, distinte per categorie e quadri sindromici) e dopo un approfondito interrogatorio anamnesico, viene selezionato l’unico rimedio necessario in quel momento per il singolo animale.

OMOTOSSICOLOGIA
Si tratta di una disciplina medica che trae origine dall’Omeopatia, ma se ne discosta sia nelle procedure diagnostiche, più volte allo studio dei dati nosologici, sia nelle forme della terapia che prevede l’impiego di composé, cioè di miscele di più rimedi, somministrati contemporaneamente.

FLORITERAPIA di BACH
Si tratta di un sistema basato sull’impiego di trentotto rimedi floreali, individuati dal Dr. Edward Bach.
I fiori, raccolti al momento di massimo sviluppo, vengono lasciati immersi in acqua ed esposti alla luce perché i raggi solari possano fissare in essa l’informazione energetica dei fiori; quindi l’acqua viene filtrata e miscelata a brandy così da stabilizzare il rimedio. La prescrizione dei fiori di Bach avviene su una base metodologica simile a quella dell’Omeopatia, con maggiore enfasi alla condizione psico – comportamentale del soggetto.

FITOTERAPIA
L’impiego di erbe a scopo terapeutico si perde nella notte dei tempi, e la maggior parte delle culture e civiltà hanno fatto naturalmente ricorso ad esse per combattere le più differenti patologie: non è esagerato sostenere che la medicina moderna deriva proprio dalla fitoterapia.

E’ noto che le erbe possiedono effetti nel riequilibrare il metabolismo organico, ripristinando condizioni di equilibrio fisiologico.

Di fatto le modalità applicative variano alquanto: alcuni fitoterapeuti impiegano le erbe secondo una visione moderna e materialistica della medicina, altri le impiegano considerando l’informazione energetica che esse veicolano.

FITOTERAPIA CINESE
Si tratta di una delle principali branche della Medicina Tradizionale Cinese (MTC). Come tutte le discipline mediche che costituiscono la MTC, anche la Fitoterapia cinese mira a ristabilire una normale produzione e circolazione di Qi, l’energia vitale che scorre nel corpo animale.

Normalmente le prescrizioni fitoterapiche cinesi sono costituite da più erbe, ciascuna associata alle altre per le sue qualità energetiche e per la direzionalità che induce nel flusso energetico globale dell’organismo.

AGOPUNTURA
E’ anch’essa una branca della MTC che prevede l’applicazione di una precisa metodologia diagnostico – terapeutica per animali, il cui principio fondante è Contraria sunt complementa (i contrari sono complementari).

Di fatto si tratta di una disciplina medica antichissima che ha la stessa origine della MTC per l’uomo, ma il cui sviluppo è stato peculiare e specifico. Zao Fu è considerato il primo medico veterinario agopuntore che già nel 974 a.C. trattava le patologie del cavallo con gli aghi, e questo testimonia quanto sia antica questa disciplina.

Secondo le dottrine classiche della MTC, il corpo degli animali è percorso da un incessante flusso di energia vitale detta “Qi”, la quale origina dai principali organi e fluisce in un sistema circolatorio di canali, i cosiddetti “meridiani”.
Su essi sono presenti alcune aree, vere e proprie stazioni di regolazione energetica, gli “agopunti”, su cui si agisce mediante aghi metallici (‘cinesi’ di varia lunghezza e diametro, ma talvolta anche aghi ‘occidentali’ da iniezione), moxibustione (coni e sigari di Artemisia spp. che hanno effetto termo – energizzante), idroagopuntura (inoculazioni di piccole quantità di Vit B, iodio in veicolo oleoso, soluzione fisiologica), elettrostimolazione, laserpuntura, digitopressione, massaggio.

Quando il flusso è scorrevole ed in equilibrio, l’animale è in salute; se l’equilibrio è turbato, allora l’animale sarà malato o proverà dolore.

Una seduta tradizionale di Agopuntura inizia con l’Ispezione del paziente che comprende l’esame dello Shen (‘mentale’), della morfologia, e del comportamento che, secondo le teorie tradizionali cinesi, sono sotto l’influenza degli organi e che, attraverso una peculiare corrispondenza tra essi e le strutture esterne, coinvolgono attitudini, gesti e posture del soggetto in esame (“psichismo d’organo”). In tal modo è possibile conoscere le capacità di trasformazione dell’energia mentale nello stato di forza o di debolezza dell’individuo.

La seconda fase della visita in MTC è rappresentata dall’Ascultazione ed Olfattazione che prende in esame la ‘voce’ dell’animale, respiro, eventuali singhiozzo, eruttazione e vomito.
Segue poi un approfondito Interrogatorio Anamnestico volto a valutare la qualità e lo stile di vita dell’animale, patologie pregresse, alimentazione, note comportamentali e caratteriali del soggetto.

Momento essenziale della visita agopunturale è la Palpazione che prevede un accurato esame del tegumento, torace, addome, arti, punti diagnostici e soprattutto dei “polsi”.

L’esame del polso mira a definire lo stato dell’energia essenziale e dell’energia perversa del paziente attraverso la valutazione di Qi (energia) e Xue (sangue), apprezzandone ‘vuoto’ o ‘pienezza’. Sulle basi delle suddette osservazioni e delle leggi classiche della MTC quali la teoria Yin/Yang, la teoria Wu Xing (Cinque Elementi), la teoria Zang – Fu 28_natural 1 giugno 2004 (Organi e Visceri) ed i Ba Gang (Otto Principi), il medico veterinario definisce il piano di trattamento che risulta essere così assolutamente individuale, specifico per il singolo animale.

In tal modo si realizza una medicina veramente olistica che tiene conto di tutte le diverse componenti: condizione fisica e stato psico – comportamentale del soggetto, tipo di patologia e gravità dell’affezione, durata della malattia.

In genere i casi acuti necessitano di due o più sedute a settimana, per poi allungare gli intervalli tra le stesse; i casi cronici necessitano mediamente di una o due sedute a settimana, prolungando, successivamente, anche qui gli intervalli.

Oggi le MNC sono al centro dell’interesse della ‘zootecnia biologica’ e ben si inseriscono nelle direttive europee che prevedono proprio il ricorso preferenziale a queste metodologie cliniche per gli animali adibiti a questo particolare allevamento: la metodica terapeutica delle MNC non determina la presenza di residui nelle produzioni alimentari che, pertanto, non risultano dannosi per la salute dei consumatori.

E’ attualmente in discussione una Proposta di Legge sulla regolamentazione delle MNC che rappresenta un importante strumento di riordino del settore e di legittimazione dei medici e dei medici veterinari esperti in tali discipline. Sinora la cultura della MNC, la formazione di base e quella avanzata, l’aggiornamento professionale, le istanze per il processo di riconoscimento in Italia
sono stati assicurati dall’impegno delle società scientifiche di MNC e che, per quanto riguarda la veterinaria, sono confluite nella Unione Medicina Non Convenzionale Veterinaria – U.M.N.C.V. (www. umncv.it).

La stessa World Health Organization si è pronunciata a favore delle MNC in quanto discipline mediche di indubbio valore ed in grado di determinare una riduzione nella spesa sanitaria nazionale sia dei Paesi progrediti che di quelli in via di sviluppo, proprio in virtù della loro peculiare applicazione clinica.

Le MNC appaiono in grado di ripristinare quelle metodologie cliniche globali in cui il paziente è considerato in tutta la sua interezza e giustamente collocato in un dato ambiente che interagisce con questi, ed in cui l’alimentazione, i sistemi di allevamento ed allenamento rivestono un ruolo decisivo nel favorire o danneggiare la sanità stessa dell’individuo.

Le MNC si pongono non come alternativa all’allopatia, ma come necessario completamento in un sistema clinico che, affiancando tra loro le diverse discipline mediche, determini l’attuazione pratica
di una medicina veterinaria integrata in cui il potenziamento dell’atto medico è finalizzato al raggiungimento del benessere e della salute animale.

Francesco Longo Medico Veterinario Specialista in Riproduzione Animale

Un’antica ricetta del popolo cinese potrebbe essere la chiave per un trattamento anti-cancro non tossico.

L’ Artemisa Annua è ancora ampiamente usata in Asia e Africa per combattere la malaria: infatti l’artemisinina in essa contenuta reagisce alle alte concentrazioni di ferro che si trovano nel parassita della malaria. Quando l’artemisinina entra in contatto con il ferro, ne deriva una reazione chimica che origina radicali liberi citotossici, i quali rompono le membrane cellulari, liberando ogni singola cellula dal parassita. Il team della University of Washington, che ha condotto ricerche sull’Artemisia come rimedio antimalarico, ha sondato anche le sue proprietà per la cura del cancro al seno. E i risultati sono stati sorprendenti, dimostrando che “questa pianta non è solo efficace, ma anche selettiva, altamente tossica per le cellule cancerose, con impatto marginale sulle normali cellule del seno.” Questo processo funziona anche contro il cancro perché le cellule cancerogene hanno una maggior concentrazione di ferro delle cellule normali, il che agevolerebbe il processo dell’artemisinina.

L’idea fondamentale era di “gonfiare” le cellule cancerogene con il massimo di concentrazione di ferro, quindi introdurre artemisinina per vincere selettivamente le cellule cancerogene. Dai risultati dello studio in questione, sembrerebbe che, dopo un relativamente breve lasso di tempo, quasi tutte queste cellule anomale siano state eliminate

È necessaria una combinazione di integratori alimentari, antiossidanti, micoterapia nonché una buona dieta anti-cancro.
la maggior parte delle cellule tumorali mancano anche dell’enzima catalasi e gutathione perossidasi. La catalasi rompe il perossido di idrogeno. Un basso contenuto di catalasi significa un elevato carico di perossido di idrogeno Questo è infatti un meccanismo comune tra agenti chemioterapici così come la vitamina C. Queste caratteristiche rendono le cellule tumorali più sensibili al danno ossidativo Per questo motivo, la somministrazione di vitamina C in alte dosi è accettabile, anche se un intervallo di 2-3 ore è preferito.

Sebbene Artemisinina è insolubile in acqua, è in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e può essere particolarmente adatto per curare i tumori del cervello. Finora, il più ampio studio sull’uso di Artemisinina come un agente anti-cancro è stata effettuata da scienziati bioingegneria Drs Narenda Singh e Henry Lai dell’Università di Washington. Questo studio è stato riportato nel Journal Life Science (70 (2001): 49-56).

L’idea fondamentale – affermano Lai e Singh- era di “gonfiare” le cellule cancerogene con il massimo di concentrazione di ferro, quindi introdurre Artemisinina per uccidere, in modo selezionato, il cancro. Nello studio in questione, dopo 8 ore erano rimaste solo il 25% di cellule cancerogene. Ma dopo 16 ore quasi tutte le cellule erano morte.

Come ci si potrebbe aspettare, per i tumori più aggressivi, come quelli del pancreas e leucemia acuta, che hanno rapida divisione cellulare e le concentrazioni di ferro sono elevate, l’ Artemisia Annua rispondere ancora meglio.

Le cellule tumorali hanno un maggior numero di recettori della transferrina, (che permette al ferro di entrare all’interno della cellula) rispetto alle cellule sane. Nel caso del cancro al seno, le cellule hanno da cinque a 15 volte più recettori della transferrina sulla loro superficie delle cellule normali del seno. La strategia, secondo Lai, è di pompare le cellule tumorali con ancora più ferro e poi introdurre l’Artemisia per ucciderli selettivamente

L’uso di questa pianta va visto in un protocollo che consiste oltre al ferro una dieta alcalinizzante ed un’associazione di drenanti epato renali sono essenziali a fare smaltire la quantita’ di tossine che si sprigionano dalle reazioni di ossidazione delle cellule cancerose.

Spesso il paziente puo’ avvertire una congestione nella sede del tumore proprio per questa lisi cellulare che si viene a creare in seguito ad i processi ossidativi.

Precauzioni nei dosaggi e soprattutto una somministrazione personalizzata in relazione alla funzionalita’ renale ed epatica dei pazienti.

La tossicita’ dell’artemisia puo’ essere accentuata con la formulazione in tintura madre in quanto gli olii essenziali quali il Tujone particolarmente epato-tossico con l’alcool vengono estratti in abbondanza. Nel cane e gatto e’ preferibile la forma in capsule di estratto di artemisina o della pianta in toto polverizzata.

Importante e’ la purezza della pianta il metodo di estrazione e soprattutto la serieta’ e competenza del laboratorio fitoterapico a cui ci si affida ,saranno questi particolari a fare la differenza.

Reazioni avverse specie nei casi di sovradosaggio:

gastrointestinali: si possono presentare casi con dolore addominale, diarrea, nausea e vomito.
cardiovascolari: includono bradicardia e prolungamento dell’intervallo QT che possono aumentare il rischio di gravi aritmie in pazienti che assumono altri farmaci che prolungano l’intervallo QT (avvertenza a chi fa uso di antiaritmici)
metabolici: ipoglicemia (avvertenza nei diabetici che fanno uso di insulina)
neurologici: ’ alte dosi di artemisinina possono produrre neurotossicita’, come disturbi della deambulazione, perdita di risposta spinale e il dolore, depressione respiratoria e arresto cardiopolmonare in ultima analisi (avvertenza nei soggetti epilettici)

L’Artemisia Annua rappresenta quindi un rimedio che promette molto nella gestione del paziente oncologico le ricerche vanno avanti ed i soggetti in cura danno buone speranze per una alternativa alle cure tradizionali .

Avvertenze: il dott Prota declina ogni responsabilità in merito all’assunzione del prodotto ed alla sua eventuale posologia in quanto è necessaria una diagnosi e un dosaggio specifico al caso in questione, che spetta unicamente al proprio Veterinario di fiducia.

Fonte: Dott Alessandro Prota
Medico Veterinario
Esperto in Medicina Naturale Veterinaria
www.alessandroprota.it

È in costante crescita l’utilizzo dei fitoderivati in ambito veterinario, sia per gli animali d’affezione sia per quelli da reddito, come si evidenzia nella ricerca che presentiamo. I vantaggi che ne giustificano l’uso sono numerosi e aumenta la richiesta degli operatori rispetto a un chiaro inquadramento normativo di questi prodotti.

L’uso del prodotto erboristico rappresenta la più antica forma di “medicina”: per secoli l’uomo ha sfruttato i principi attivi presenti nelle piante per curare le principali affezioni che affliggono sia le popolazioni che gli animali. In particolare fino all’800 la quasi totalità dei medici veterinari in Europa utilizzava preparati vegetali per il trattamento delle malattie sia degli animali da reddito sia di quelli d’affezione e tale utilizzo è tutt’ora diffuso in molte culture.

La prima traccia storica dell’utilizzo di prodotti erboristici in ambito veterinario è presente nel codice di Hammurabi (2250 a.C.) risalente ai tempi dell’impero Babilonese, ove sono descritti per la prima volta i doveri dei medici e dei veterinari e i loro onorari [1]. Questi ultimi conoscevano e curavano moltissime malattie animali con rimedi galenici formulati con essenze vegetali, prodotti ricavati da minerali e parti animali [2].

In questi ultimi anni, molti dati testimoniano un incremento dell’interesse verso iniziative divulgative tese ad implementare le conoscenze, l’informazione, ma soprattutto l’applicazione delle piante officinali in veterinaria. In quest’ambito, sono evidenti alcuni vantaggi che giustificano l’utilizzo del prodotto erboristico e che possono essere così riassunti:

• ridotta tossicità, che ne consente un trattamento prolungato nella prevenzione [3];
• possibile utilizzo complementare ai farmaci di sintesi, a favore, ad esempio, di un ridotto impiego di questi ultimi [4];
• ridotti o assenti tempi di sospensione del prodotto erboristico rispetto al farmaco;
• vasto campo di applicazione, comprendendo sia gli animali d’affezione che da reddito.

Le principali motivazioni di diffusione del prodotto erboristico nell’ambito degli animali d’affezione sono la crescente sensibilità del cliente per il prodotto naturale e l’effettivo riscontro positivo seguito all’utilizzo. Per quanto riguarda gli animali da reddito invece, l’utilizzo è supportato da una riduzione dei costi rispetto alla medicina convenzionale e dalla garanzia di una minor presenza o assenza di residui farmaceutici negli alimenti (carne, latte, uova, ecc.) [5].
Quest’ultimo aspetto, in Italia coinvolge soprattutto gli allevamenti intensivi nei quali l’utilizzo dei farmaci, in particolare dei prodotti antibiotici, è una prassi consolidata. L’impiego massiccio degli antibiotici nell’allevamento del bovino da latte, sia a scopo preventivo sia a scopo terapeutico, è ritenuta da molti operatori una pratica sempre meno sostenibile in quanto presenta anche dei problemi che riguardano direttamente gli animali e che possono poi riflettersi sulla salute del consumatore.

Un esempio è la mastite infettiva delle lattifere, una delle più importanti malattie che compromette la salute e il benessere degli animali, la qualità del latte prodotto e che può causare anche ingenti perdite economiche per gli operatori del settore.
A tutt’oggi, il trattamento di elezione per questa patologia è basato sulla terapia antibiotica. Il volume di antibiotici utilizzati in questo comparto contribuisce in maniera significativa all’aumento dell’antibiotico-resistenza e risulta essere un problema di sanità pubblica con ripercussioni sia per l’uomo sia per l’animale. Per far fronte a tale problematica l’Unione Europea raccomanda l’uso prudente degli antibiotici negli allevamenti.

Tra le strategie di contenimento, la soluzione che sembra essere più promettente è rappresentata dall’utilizzo di sostanze ad azione antimicrobica di origine naturale, come appunto il prodotto erboristico [5].

Da più parti si prospetta la possibilità di armonizzare la legislazione italiana con quella degli altri Paesi europei provvedendo a disciplinare in modo chiaro l’uso del prodotto erboristico sia per l’uomo sia per l’animale. A livello legislativo, infatti, molte sono le contraddizioni e le lacune che ancora rimangono e che rendono problematico un inquadramento chiaro dell’utilizzo del prodotto erboristico in veterinaria. La filiera di produzione e l’uso di tali prodotti sottostanno alle normative vigenti riportate dal Ministero della Salute [6]. Sulla base di queste premesse, sono numerosi gli operatori del settore che, vista la costante crescita d’interesse della popolazione verso i prodotti erboristici anche in ambito veterinario, credono nella necessità e possibilità di regolamentare in maniera adeguata il loro utilizzo.

L’utilizzo di prodotti erboristici nelle cure veterinarie
I veterinari che oggi in Italia utilizzano il prodotto erboristico nelle loro cliniche rappresentano circa il 4,5% degli oltre 21.000 che esercitano la professione [7]. Quest’articolo riassume una ricerca finalizzata alla stesura di una tesi di laurea in Scienze e Tecnologie dei Prodotti erboristici, dietetici e cosmetici svolta presso l’Università degli studi di Ferrara, che si pone l’obiettivo di dare una panoramica della situazione locale nella quale è stato svolto lo studio, ricercandone riflessi di contestualizzazione generale del mercato erboristico veterinario. Lo studio è stato caratterizzato da un tirocinio presso una parafarmacia di Ferrara in cui sono commercializzati, oltre ai numerosi prodotti per il benessere umano, anche prodotti destinati al trattamento degli animali d’affezione più comuni, come vedremo poi nel dettaglio.

Lo studio prevedeva un’analisi iniziale delle vendite dei prodotti veterinari, che sono risultati essere il 26,0% rispetto al totale. Più specificatamente il 16,6% ha riguardato farmaci a uso veterinario, mentre il restante 9,4% è rappresentato dai prodotti erboristici veterinari, ed è appunto su questi ultimi che è stata focalizzata la ricerca. Per inquadrare meglio il lavoro svolto, si è ricorsi all’ausilio di un questionario che è stato sottoposto a un campione rappresentativo di clienti dell’esercizio commerciale e parallelamente si è provveduto a contattare i veterinari di Ferrara e provincia che si sono resi disponibili a essere intervistati e a compilare un secondo questionario a loro dedicato.

Utilizzo dei prodotti erboristici da parte dei clienti
Il questionario è stato opportunamente formulato per recuperare informazioni circa la sensibilità della clientela verso i prodotti erboristici, la “qualità” delle loro informazioni e il grado di soddisfazione. Il 94% del campione intervistato utilizza prodotti erboristici ed è stato suddiviso in base a età e sesso, da cui è emerso che la componente maggioritaria risulta essere quella femminile compresa tra i 36 e i 50 anni. Il principale animale domestico trattato con prodotti erboristici è il cane (60,0%), al secondo posto troviamo il gatto (37,0%) e infine, con una percentuale molto bassa, il canarino (3,0%).

Ovviamente questi dati sono limitatamente rappresentativi della clientela della parafarmacia, ben conosciuta nella zona di Ferrara per l’ampia scelta di prodotti destinati agli animali d’affezione, in particolare cani e gatti. Una delle prime domande formulate ai clienti, riguarda come essi siano venuti a conoscenza del prodotto erboristico (Tabella 1) ed è emerso che il 50,0%, è stato informato dal proprio veterinario. Al secondo posto, con il 20,0%, troviamo chi ha ricevuto tale consiglio dall’erborista o farmacista di fiducia. Il terzo posto comprende sia il consiglio dell’addestratore e sia quello di conoscenti che ne avevano fatto uso in precedenza, entrambi con il 12,0%. Infine una limitata componente, ovvero il 6,0%, si è informata autonomamente tramite ricerche in internet.
Prendendo in considerazione il fatto che ben l’82,0% del consiglio arriva da operatori del settore quali veterinari, erboristi/farmacisti e addestratori, risulta essere ulteriormente indispensabile un’adeguata informazione/formazione di tutti gli operatori affinché possano fornire una consulenza adeguata alle esigenze del cliente. Una domanda in particolare ha messo in evidenza le criticità incontrate dai clienti, che riguardano soprattutto l’elevato costo di tali prodotti, la difficoltà nella somministrazione e la durata del trattamento.

Per quanto riguarda l’eccessivo costo, da un’analisi attenta si scopre che non vi sono particolari differenze tra i farmaci veterinari e i prodotti erboristici a uso veterinario. Quindi il disagio è piuttosto rivolto in generale all’elevato costo dei prodotti presenti sul mercato (farmaci e prodotti erboristici), destinati alla cura o al sostegno dei propri animali domestici.

La difficoltà di somministrazione ha interessato principalmente quei clienti che sono intervenuti sul proprio animale domestico con un prodotto erboristico in compresse. Tale formulazione spesso crea delle difficoltà d’utilizzo poiché l’animale tende a rifiutarla, probabilmente per una carenza di appetibilità. Vi sono vari tipi di formulazioni quali paste, fiale, tavolette, polveri e altri ancora, ma la compressa rimane comunque la più presente sul mercato. Infine la durata del trattamento risulta, per alcuni clienti, un altro inconveniente da superare poiché i prodotti naturali, nella maggior parte dei casi richiedono, infatti, dei tempi di somministrazione superiori al farmaco, scoraggiandone talvolta il loro utilizzo.

Nonostante le criticità evidenziate, ben il 96,0% degli intervistati che ha già fatto uso di prodotti erboristici afferma di voler continuare a utilizzarli e ciò può essere inteso come dimostrazione di una grande soddisfazione del cliente che acquista e somministra i prodotti naturali ai propri animali. Più specificatamente per quanto riguarda i clienti, il 71,0% di loro ha affermato di essere restato pienamente soddisfatto dall’utilizzo del prodotto erboristico sul proprio animale domestico. Il 25,0% si sarebbe aspettato un’efficacia maggiore e si tratta di clienti che hanno avuto alcune difficoltà di somministrazione o che si sono trovati ad affrontare situazioni, come per esempio l’anzianità dell’animale, per le quali il prodotto erboristico può rappresentare un sostegno ma non un rimedio. Per tali motivi non sono riusciti a riscontrare un risultato pienamente soddisfacente, ma rimangono comunque intenzionati a riprovare tali prodotti, magari per delle problematiche differenti. Il restante 4,0% non riesce a rispondere poiché non è riuscito a somministrare il prodotto erboristico al proprio animale. Nessuno ha evidenziato effetti avversi.

È stata posta anche la domanda sul perché i soggetti in questione abbiano deciso di utilizzare prodotti erboristici sui propri animali domestici. La maggior parte dei clienti intervistati, ovvero il 62,0% del totale, afferma di utilizzare principalmente i prodotti erboristici per una questione d’efficacia. Essendo naturali e offrendo dei risultati evidenti, sono soddisfatti e propositivi a intervenire nuovamente tramite il loro utilizzo.

Il 31,0% di loro, invece, sostiene di essere soddisfatto del rapporto qualità/prezzo di tali prodotti nonostante, come detto in precedenza, il prezzo sia abbastanza elevato. Infine il restante 7,0% afferma di utilizzarli per una convinzione personale nelle proprietà del prodotto erboristico o perché segue il consiglio del veterinario che suggerisce d’intervenire, ove possibile, con tali prodotti. La domanda più specifica che è stata posta ai clienti della parafarmacia riguarda quali siano i nomi commerciali dei prodotti erboristici utilizzati. Dallo studio è emerso che i clienti non erano a conoscenza delle fonti vegetali presenti all’interno di tali prodotti. Le risposte che essi hanno dato, infatti, derivano dal consiglio di più canali informativi quali veterinari, erboristi e addestratori. Andremo a vedere nel dettaglio i principi attivi specifici con le domande poste ai veterinari.

Queste ultime possono essere così suddivise: al primo posto troviamo, con il 28,0% delle risposte, l’utilizzo di multivitaminici per problematiche legate principalmente all’anzianità dell’animale; seguito da un 25,0% per le problematiche gastroenteriche ed epatiche; al terzo posto con il 18,0% vi sono le problematiche dermatologiche; con il 14,0% del totale risultano poi le problematiche articolari, che possono essere causate principalmente dall’anzianità dell’animale, da interventi chirurgici o comunque da infiammazioni articolari e muscolari; con il 7,0% occupano il quinto posto le problematiche renali dovute nella maggior parte dei casi all’anzianità dell’animale; come sesta problematica, con il 4,0%, è risultata la comparsa di Herpes simplex per combattere il quale vengono utilizzati prodotti a base di lisina. Infine, sempre con il 4,0%, troviamo la problematica dell’alitosi.

Utilizzo dei prodotti erboristici da parte dei veterinari
Come accennato precedentemente, è stato sottoposto un questionario allo specialista veterinario con il quale sono state recuperate informazioni riguardanti le loro conoscenze sull’argomento, la sensibilità del singolo individuo nei confronti di tale approccio, le categorie di prodotti maggiormente utilizzati, l’eventuale efficacia riscontrata, il grado di soddisfazione del cliente, le categorie di animali curati, le fonti vegetali utilizzate nelle diverse problematiche animali e quali fossero per loro le fonti di formazione o di affiancamento. Per quanto riguarda i veterinari, il 54,2% degli intervistati ha affermato di utilizzare costantemente o saltuariamente i prodotti erboristici per gli animali d’affezione in cura nelle proprie cliniche.

L’’effettiva efficacia di tali prodotti, con il 30,0% delle risposte, risulta essere il principale motivo che spinge i veterinari a ricorrere a prodotti naturali ove possibile. Una parte dei veterinari intervistati ha inoltre affermato di aver iniziato a consigliare ai propri clienti i prodotti erboristici per gli animali dopo aver avuto dimostrazione della loro efficacia utilizzandoli per la propria salute.

Tale posizione testimonia come spesso il prodotto erboristico a uso veterinario derivi da prodotti precedentemente utilizzati nell’ambito umano e ciò verrà anche confermato dalla valutazione critica delle fonti vegetali presenti nei diversi prodotti, correlandole alla cura dei disturbi animali. Con il 24,0% delle risposte, al secondo posto, la consapevolezza del veterinario dei minori effetti collaterali che un prodotto erboristico può avere rispetto a un farmaco. Troviamo poi con il 22,0%, la richiesta esplicita del cliente dovuta a una sempre crescente sensibilità nei confronti dei prodotti naturali. L’opportunità di quest’ultimo, ove possibile, di evitare l’utilizzazione di farmaci sia per se stessi che per i propri animali, è uno degli aspetti fondamentali che stanno portando alla diffusione, nei vari esercizi commerciali competenti, di prodotti erboristici.

Al quarto posto con 15,0%, troviamo inoltre l’effettiva soddisfazione del cliente dopo tale metodo d’intervento, aspetto che incentiva il veterinario a consigliare i prodotti erboristici con maggiore frequenza. Segue l’interesse personale dei veterinari all’argomento, con il 6,0% delle risposte. Dalle interviste emerge come l’argomento susciti una grande attenzione e, da più parti, c’è la richiesta di eventi formativi o di un’informazione specialistica che possa mettere in luce tutti i fattori positivi e negativi correlati all’utilizzo del prodotto erboristico, sia come alternativo (se possibile) oppure come complementare all’utilizzo dei farmaci. In questo modo si andrebbe anche incontro alle esigenze di sicurezza sull’efficacia del prodotto che al momento occupa una percentuale relativamente bassa, ovvero il 3,0% delle risposte.
Analizzando le risposte dei veterinari per quanto riguarda le problematiche maggiormente trattate e le fonti vegetali a esse correlate, le principali problematiche per cui gli intervistati hanno deciso di intervenire con un prodotto naturale sono: con il 46,0% quelle dermatologiche, per le quali vengono utilizzate arnica (Arnica montana) con il 29,2%, tea tree oil (Melaleuca alternifolia) sempre con il 29,2%, propoli (Propolis) con il 25,0% e iperico (Hypericum perforatum) con il 16,6%.

Essi vengono utilizzati per trattare problematiche quali lesioni della pelle, prurito e contusioni. Sono prodotti particolarmente graditi sia dal veterinario sia dallo stesso proprietario dell’animale per la semplicità di somministrazione. Si trovano appunto in creme a uso topico o comunque in fiale e quindi in dispositivi con semplicità di somministrazione. Oltre a questo fattore, l’efficacia riscontrata in tale categoria di prodotti ha portato il veterinario a consigliarli con frequenza e sicurezza.

Successivamente, con il 23,0%, seguono le problematiche gastroenteriche ed epatiche. I prodotti di riferimento sono composti da fermenti lattici e fonti vegetali quali il cardo mariano (Silybum marianum) con il 54,5% delle risposte, lo psyllo (Plantago psyllium) con il 27,3% e il carciofo (Cynara scolymus) con il 18,2%, tutti utilizzati per regolare il funzionamento intestinale ed epatico. Al terzo posto con il 20,0% sono risultate le problematiche comportamentali per le quali vengono principalmente utilizzate fonti vegetali come valeriana (Valeriana officinalis) per un 40,0%, melissa (Melissa officinalis) con un 20,0%, camomilla (Matricaria recutita) sempre col 20,0% e biancospino (Crataegus monogyna) anch’esso per un 20,0%. Esse sono consigliate per il controllo di ansia e iperattività, ideali quindi in occasioni in cui la paura dell’animale è un problema, come ad esempio in seguito a intervento chirurgico o in occasione di temporali, visite dal veterinario, un trasloco o un viaggio.

Con l’11,0% del totale, troviamo poi le problematiche articolari che, come già detto per i clienti, possono essere causate principalmente dall’anzianità dell’animale, da interventi chirurgici o comunque da infiammazioni articolari e muscolari e per le quali vengono principalmente utilizzate fonti vegetali come l’artiglio del diavolo (Harpagophytum procumbens) per un 83,3% e la boswellia (Boswellia serrata) per un 16,7%. Come accennato precedentemente, si può osservare come le droghe utilizzate per le cure delle diverse affezioni animali, siano pressoché le medesime che sono impiegate nell’ambito salutistico umano. Tali risultati confermano per la maggior parte le risposte ottenute in precedenza dai clienti sia per categoria di problematiche che per piante utilizzate, ennesima dimostrazione dell’efficacia di tali prodotti e di quanto il consiglio dello specialista veterinario o dell’erborista/farmacista di fiducia possa influenzare la scelta di un prodotto piuttosto che di un altro.

Conclusioni

L’uso delle piante officinali in ambito veterinario, sia per quanto riguarda gli animali da reddito che quelli d’affezione, è storicamente diffuso in Italia da tempo, ma scientificamente riconosciuto e studiato da poco. Dallo studio condotto si evince che la veicolazione dei prodotti erboristici per l’uso veterinario, è principalmente nelle mani degli operatori zootecnici e dei medici veterinari, la cui conoscenza e propensione nei riguardi dei prodotti erboristici rappresenta il fattore determinante per questo settore. È emersa, inoltre, l’importanza di fornire un’adeguata formazione sull’utilizzo del prodotto erboristico veterinario, aspetto fondamentale affinché le conoscenze non vadano disperse, ma diventino “semi” per una crescita degli operatori del settore [8].

L’esperienza della tesi ha evidenziato come l’interesse al problema sia ancora poco sentito anche a livello universitario, poiché lo studio dei prodotti erboristici, è tarato solo per le applicazioni nell’ambito umano. Tramite riviste, corsi universitari e congressi, bisognerebbe dare maggiore informazione/formazione ai veterinari e al personale tecnico quale informatori scientifici, erboristi ed addestratori anche in relazione al cliente le cui esigenze e sensibilità stanno notevolmente aumentando. Va anche ricordato che, pur essendo millenario l’uso delle erbe medicinali nel trattamento di sindromi varie sia dell’uomo che degli animali, non si tratta di una panacea per tutti i mali e che “prodotto naturale” non significa prodotto libero da effetti negativi o controindicazioni.

I prodotti a base di erbe, infatti, possono interagire tra loro quando somministrati in concomitanza o possono aumentare o antagonizzare gli effetti di droghe sintetiche somministrate come terapia primaria [9].

L’impressione ricavata nell’approfondire tali tematiche, è stata quella che sia i proprietari di animali sia i veterinari non conoscano a sufficienza le reazioni avverse che si possono verificare in seguito alla somministrazione di tali prodotti negli animali da reddito e d’affezione. Per evitare queste problematiche sarebbe necessario un intervento a livello legislativo che armonizzi la disciplina in questione. Da quanto esposto nello svolgimento dell’articolo, è possibile prevedere un futuro molto roseo dell’uso dei prodotti naturali in zootecnia e in medicina veterinaria poiché il mercato italiano dei prodotti erboristici è in costante aumento [10]. È proprio per questi che i prodotti erboristici possono rappresentare per il veterinario, per l’allevatore e per il proprietario d’animali, una valida scelta e/o integrazione alla medicina tradizionale.

* Sofia Bonadiman
* Damiano Rossi
* UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA
Dipartimento Scienze della Vita e Biotecnologie (SVeB)

Bibliografia
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Veterinaria
[2] Montanari M. Allevamento e cura degli animali nei trattati agronomia del Basso Medioevo, in La pratica della veterinaria nell’Emilia Romagna nell’insegnamento dell’Università di Bologna. Bologna, 1984.
[3] Capasso F., Grandolini G., Izzo A. A. Fitoterapia, Springer-Verlag Italia. Milano, 2006, 44.
[4] Fabio Firenzuoli. Interazioni tra erbe, alimenti e farmaci. Tecniche Nuove. Milano, 2008, VIII.
[5] https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_newsAree_1799_listaFile_itemName_4_file.pdf
[6] https://www.senaf.it/UserFiles/File/erboristeria/atti12/Dalfra.pdf
[7] https://documenti.fondiz.it/73.pdf
[8] https://www.zoobiodi.it/doc/Atti_N2.pdf
[9] Russo R., Autore G., Severino L. Pharmaco-toxicological aspects of herbal drugs used in domestic animal. Nat Prod Commun. 2009, 4:1777-84.
[10] Pignatelli P. Le diverse fitoterapie in medicina veterinaria: storia, lo stato dell’arte, le prospettive e normativa. Convegno su Fitoterapia in Medicina Veterinaria. 2008. Lodi.