Glicemia e funghi terapici

Glicemia e funghi terapici

Il 1 febbraio 2018 è stato pubblicato un allarmante articolo su ANSA: “Diabete, 3,7 milioni i malati ma 7 milioni a rischio di svilupparlo”. Dati decisamente preoccupanti, soprattutto per il fatto che molte persone affette da sovrappeso e alterazioni del metabolismo (sindrome metabolica) son sono coscienti del fatto che si tratta di sintomi che predispongono allo sviluppo del diabete 2.

Con la “civiltà del benessere” la sindrome metabolica e il diabete 2 sono in crescita continua. Tali condizioni predispongono all’aumento della mortalità per malattie cardiovascolari (infarto, inctus…), per problemi renali e aumentano il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative e oncologiche. Esistono numerosi farmaci per la gestione del diabete efficaci nel controllo dell’iperglicemia, ma hanno numerosi effetti collaterali e nel tempo non riescono comunque a gestire le complicazioni associate alla malattia diabetica.

La combinazione di un’alimentazione adeguata, attività fisica e utilizzo di sostanze naturali tra cui i funghi medicinali, si è dimostrata efficace nella prevenzione e controllo sia del diabete 2 che delle sue complicazioni, ed è completamente priva di effetti collaterali.

Ci sono 2 tipi di diabete: diabete di tipo 1 e diabete di tipo 2.

Il diabete di tipo 1 è una malattia caratterizzata dalla distruzione da parte del sistema immunitario delle cellule beta del pancreas adibite alla produzione di insulina con conseguente deficit di insulina che deve essere ripristinata dall’esterno. Per questo si chiama diabete insulino-dipendente. È spesso giovanile, anche se può comparire ad ogni età, e ha un’insorgenza “acuta”.

Il diabete di tipo 2 invece mantiene integra la funzione del pancreas, ma è caratterizzato da insulino-resistenza. È legato ad alterazioni del metabolismo e alla presenza di infiammazione cronica di basso grado. Comporta aumento di grasso di deposito nell’area viscerale (addominale) e l’alterazione di numerosi parametri come l’alterazione della glicemia, del profilo lipidico (colesterolo, HDL, trigliceridi) e la comparsa di sintomatologie quali ipertensione, obesità, aumentato rischio cardiovascolare, alterazioni della funzione renale e molte altre. Nei paesi sviluppati, con l’aumento della sedentarietà e la modifica delle abitudini alimentari, il diabete 2 è in aumento esponenziale. Tipicamente si sviluppa nell’adulto, ma si assiste recentemente a un aumento anche nella popolazione giovane anche in età scolastica.

I funghi possono essere definiti “cibi funzionali o nutraceutici ad azione adattogena”. Sono in effetti alimenti ricchi di sostanze nutrienti che permettono di regolare le funzioni immunitarie e neurologiche e di migliorare il metabolismo. Contengono minerali, aminoacidi, metaboliti secondari con azioni importanti sulla salute, polisaccaridi attivi nel sostegno del sistema immunitario, precursori della vitamina D e della vitamina E, e molto altro. Nella storia e nella tradizione medicinale antica sono stati selezionati alcuni funghi considerati particolarmente potenti per il mantenimento e il recupero della salute.

Nell’area metabolica per molti funghi è stata descritta un’azione terapeutica sul controllo della glicemia, dell’ipercolesterolemia, dell’ipertrigliceridemia, dell’ipertensione e del diabete 2. Tali effetti sono stati correlati alla presenza di fibre e polisaccaridi (beta-glucani), ma nel tempo gli studi scientifici hanno dimostrato un’azione ben più profonda e articolata orientata al recupero della salute effettuata da numerose altre molecole bioattive in essi contenute. Per molti funghi è stata infatti dimostrata azione antitumorale, antivirale, antitrombotica, anti-ipertensiva, di controllo della glicemia, di miglioramento della memoria e della concentrazione e anti-aging.

Tra i funghi più studiati per la sindrome metabolica e il diabete 2 vi sono la Grifola frondosa o Maitake e il Coprinus comatus, ma si sono dimostrati molto utili anche l’Agaricus blazei Murrill (ABM), il Ganoderma lucidum (Reishi), l’Auricularia auricula judae e il Cordyceps sinensis.

La Grifola frondosa (Maitake) è chiamato anche il fungo del metabolismo. Oltre all’elevata quantità di beta-glucani, ha dimostrata attività anti-amilasica e anti-glucosidasica, la più potente tra tutti i funghi ad oggi studiati, che permette un elevato controllo dell’iperglicemia. In pratica inibisce la funzione di enzimi, come l’alfa-glucosidasi, che sono deputati al processo di digestione e utilizzazione dei caboidrati nell’intestino, riducendo l’iperglicemia post-prandiale. (1,2)

Inoltre sono ampiamente dimostrati in letteratura i suoi effetti di miglioramento della sensibilità insulinica e di riduzione della resistenza insulinica periferica, di regolazione dei livelli di glicemia, di emoglobina glicata, dei grassi nel sangue e di tutta una serie di parametri metabolici che possono risultare alterati in questa condizione clinica; conseguentemente contribuisce al controllo del peso e delle sintomatologie associate al diabete 2 quali ad esempio l’ipertensione. (3-7)

Il Coprinus comatus è un fungo ricco in vanadio che è stato studiato in modelli di diabete sia di tipo 1 che di tipo 2. Il vanadio ha infatti attività revitalizzante delle cellule beta del pancreas deputate alla produzione di insulina, quindi la sua assunzione può essere di aiuto anche in presenza di diabete 1 (autoimmune). In ogni caso è risultato molto efficace nella riduzione della glicemia e dell’emoglobina glicata anche nel diabete di tipo 2. Da questo fungo è stata isolata una sostanza chiamata “comatina” con effetti ipoglicemizzanti, in grado di inibire la glicosilazione non enzimatica e di migliorare la sensibilità periferica all’insulina. (8-11)

Il Ganoderma lucidum (Reishi) è un fungo con storia millenaria di utilizzo in Cina, ed è conosciuto anche come fungo della longevità o dell’immortalità. La sua somministrazione migliora la gestione della glicemia nel topo e i suoi effetti, oltre che alla riduzione dell’assorbimento degli zuccheri a livello intestinale, sono stati attribuiti anche alla sua importante azione anti-infiammatoria e anti-ossidante. È stato dimostrato che facilità il rilascio di insulina da parte delle cellule pancreatiche e che migliora significativamente la sensibilità periferica all’insulina e riduce la glicazione proteica. Tali effetti dipendono molto anche dalla sua capacità di migliorare la composizione e l’attività della flora microbica intestinale (microbiota e microbioma). Una peculiarità importante del Ganoderma lucidum nella gestione del diabete 2 è la sua importante protezione cardiovascolare, soprattutto in considerazione del fatto che il rischio cardiovascolare nei soggetti affetti da diabete 2 è di 10 volte superiore rispetto a soggetti sani. (12-16)

L’Auricularia auricula-judae è un fungo gelatinoso a forma di orecchio (chiamato anche orecchio di Giuda) e di colore rosso scuro a volte quasi nero. È molto popolare in Cina dove viene usato per ridurre il “calore” del corpo, ossia l’infiammazione. Ha effetto ipoglicemizzante grazie alla grande quantità di fibre e mucillagini che contiene; contiene un elevato livello di melanina e polifenoli che gli conferiscono attività anti-ossidante e anti-infiammatoria che contribuiscono a migliorare la resistenza insulinica. È un fungo molto interessante anche per la sua funzione di protezione epatica, di fluidificazione della bile e di miglioramento delle funzioni intestinali. Nel diabete 2 la funzione epato-biliare è in genere compromessa e condiziona la salute dell’intestino; per questo motivo il sostegno con Auricularia potrebbe risultare particolarmente efficace. Come il Ganoderma inoltre, esercita un effetto protettivo sul sistema cardiovascolare con riduzione del rischio di aterosclerosi e di infarto e ictus. (17-22)

Il Cordyceps sinensis è un fungo che cresce nell’altopiano Tibetano, tra i 3600 e i 5000 metri, parassita di un insetto (Hepialis armoricanus) che ha una lunga storia di utilizzo nella medicina tibetana.

È uno dei funghi più interessanti per le sue articolate proprietà sulla salute. La sua efficacia è stata dimostrata anche nella gestione della sindrome metabolica e del diabete di tipo 2 dove migliora la gestione della glicemia e riduce efficacemente la glicazione proteica. Uno degli effetti più interessanti del Cordyceps, probabilmente correlato alla sua azione di riequilibrio ormonale, è la sua capacità di migliorare il rapporto massa magra/massa grassa che corrisponde ad un miglioramento del metabolismo e della salute. Ha azione antiossidante e anti-infiammatoria che contribuiscono a migliorare la sensibilità periferica all’insulina e ha dimostrato effetti protettivi a livello cardiovascolare, renale e neurologico. La sua azione ossigenante e antiossidante permettono di migliorare il metabolismo a livello cellulare riducendo anche il rischio di degenerazione oncologica. (23-30)

L’Agaricus blazei Murrill è molto studiato per la sua attività di potenziamento immunitario e antitumorale. La sua assunzione nell’uomo è stata associata a riduzione della massa grassa, in particolare viscerale, a miglioramento dei rapporti dei lipidi nel sangue (colesterolo, HDL, trigliceridi) e ad un miglioramento della gestione della glicemia. La sua associazione con il Corpinus comatus migliora la sintomatologia associata al diabete 1. In numerosi studi è stata dimostrata la sua attività anti-iperglicemica, ipocolesterolemica e antisclerotica evidenziando un’attività antidiabetica generale con miglioramento della resistenza insulinica. Interessante la sua capacità di aumentare la concentrazione di adiponectina (sostanza chiamata anche “bruciagrassi”) che favorisce la perdita del grasso accumulato nell’area viscerale.

La sua azione è stata studiata anche insieme a farmaci antidiabetici con miglioramento della funzione e riduzione degli effetti collaterali. (31-33)

Questa generale panoramica dell’azione dei funghi sul metabolismo e sulla prevenzione e gestione del diabete 2 permette di comprendere come essi agiscano in modo profondo e articolato. Ognuno di essi ha peculiarità che possono influire sulla scelta di quale fungo utilizzare in particolari condizioni e sintomatologie. È anche molto interessante notare che il loro utilizzo può essere effettuato in concomitanza con i farmaci con i quali non interferiscono, anzi, ne ottimizzano la funzione riducendone gli effetti collaterali.

Poiché la sindrome metabolica e il diabete di tipo 2 sono in crescita esponenziale e condizionano in modo importante la salute e la qualità della vita delle persone affette, può essere molto utile considerare l’utilizzo di questi “super-alimenti funzionali” soprattutto in prevenzione, per ridurre il rischio di sviluppo di tali patologie.

 

Bibliografia

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Fonte: Stefania Cazzavillan, biologa molecolare e ricercatrice. In: stefaniacazzavillan.it

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Sistema endocannabinoide
Che cos’è il sistema endocannabinoide?

Il sistema endocannabinoide è un regolatore omeostatico chiave del corpo, che svolge un ruolo in quasi tutti i sistemi fisiologici. Per un lungo periodo di tempo è stato trascurato come possibile obiettivo terapeutico, in particolare perché non si sapeva molto delle implicazioni sulla malattia sistematica. Tuttavia, con gli incredibili successi avuti con l’uso della cannabis terapeutica e dei prodotti a base di canapa, in particolare del cannabidiolo (CBD) e dell’acido cannabidiolico (CBDA), molti scienziati stanno spostando la loro attenzione sul sistema endocannabinoide.

Prove più evidenti stanno venendo alla luce, sostenendo la teoria della carenza endocannabinoide clinica sostenuta dal dott.Ethan Russo, in particolare per le malattie come l’emicrania, la fibromialgia e la sindrome dell’intestino irritabile. Dato l’alto numero di malattie che hanno mostrato anomalie nel sistema endocannabinoide come l’epilessia, il cancro e una vasta gamma di malattie neurodegenerative, questa è un’area che sarà senza dubbio esplorata ulteriormente in futuro.

Oltre ai composti derivati ​​dalla cannabis, recentemente è emerso che un’ampia gamma di composti naturali interagiscono con il sistema. Ciononostante, il CBD e il CBDA sono ancora considerati i composti chiave (o quelli che hanno dimostrato la maggiore efficacia fino ad oggi) e l’evidenza del loro valore terapeutico cresce ogni giorno. La ricerca sul CBD e il CBDA sta crescendo rapidamente, ed è stato rivelato un vasto numero di obiettivi farmacologici. Il preciso meccanismo d’azione per entrambi questi composti rimane ancora un mistero, ma le loro caratteristiche farmacologiche forniscono indizi interessanti sul loro funzionamento.

Cannabidiolo: come funziona?

L’azione farmacologica del CBD è molto interessante, in quanto ha un’azione molto limitata sui recettori CB1 e CB2. Tuttavia è in grado di bloccare le azioni dei composti che attivano questi recettori, come il THC. Questa proprietà del CBD è molto importante, in quanto può sopprimere quella psicoattiva del THC. Questo può risultare utile per coloro che usano il THC per il trattamento di condizioni come dolore e spasticità. Ridurre la psicoattività ridurrebbe gli “effetti collaterali” del THC e della cannabis terapeutica, e questo equilibrio può essere controllato somministrando il CBD insieme al THC.

L’enzima amide idrolasi degli acidi grassi (FAAH) è l’enzima responsabile della degradazione intracellulare dell’anandamide, e il CBD ha dimostrato di inibire questo enzima. In questo modo il CBD ripristina i livelli di anandamide (bloccando la sua rottura), ripristinando così la carenza endocannabinoide clinica osservata in molte malattie. Uno studio clinico eseguito con il CBD sulla schizofrenia ha dimostrato che questo composto ha causato un aumento significativo dei livelli sierici di anandamide, e si è pensato che questa fosse la causa dell’evidente miglioramento clinico.

 

Il cbd mostra affinità con i recettori non endocannabinoidi

Il CBD è un composto enantiomerico, e l’enantiomero (-) è risultato significativamente più potente dell’enantiomero (+) nell’inibizione della FAAH. Al contrario, l’enantiomero (+) ha mostrato più affinità per i recettori CB1 e CB2 rispetto all’enantiomero (-). Per questo motivo il (+) – CBD probabilmente servirà meglio se in combinazione con il THC, mentre (-) – CBD potrebbe essere sfruttato per trattare la carenza di endocannabinoidi. Gli studi hanno rivelato che il CBD ha affinità con alcuni Transient receptor potential channels (TRP channels), il che amplia la portata delle malattie che il CBD può guarire. Il CBD ha dimostrato di desensibilizzare (smorzare l’attività del recettore) i canali TRPV1, TRPV2, TRPV3, TRPV4 e TRPA1.

Questi recettori sono altamente attivi negli stati di dolore in una vasta gamma di malattie. Il CBD ha anche dimostrato di essere un antagonista del recettore TRPM8, che è un altro interessante bersaglio recettore per il trattamento del dolore – in particolare l’allodinia. Al di fuori del sistema endocannabinoide, il CBD si rivolge anche ai recettori di segnalazione neurale chiave come il 5-HT1a e il 5-HT3a. Sebbene non si sappia molto sulle implicazioni di questi recettori nella malattia, si ritiene che siano fortemente implicati in malattie come l’epilessia e in numerosi disturbi ansiosi.

Acido cannabidiolico (cbda): il precursore con un ruolo importante.

Il CBDA è il precursore acido del CBD. La conversione avviene convenzionalmente da una reazione attivata dal calore, che porta alla rimozione del gruppo carbossile dal CBD. Poiché l’interazione del CBDA con il sistema endocannabinoide è piuttosto limitata, è spesso trascurato come composto terapeutico. Tuttavia, ha una serie di interessanti recettori bersaglio che sono molto importanti per un certo numero di malattie. Proprio come il CBD, il CBDA desensibilizza i recettori TRPV1, TRPV3, TRPV4 e TRPA1.

Ciò suggerisce che potrebbe avere proprietà promettenti per il trattamento degli stati del dolore che derivano da una serie di malattie e che spesso stimolano l’attività in questi recettori. Il CBDA ha poca affinità con gli altri recettori del sistema endocannabinoide, ma inibisce i mediatori dell’infiammazione chiave come il COX-1 e COX-2. In particolare, è di una certa importanza la sua azione sul COX-1, in quanto recenti ricerche hanno suggerito che questo enzima può essere un obiettivo promettente per ridurre le convulsioni.

Il COX-2 invece è un enzima responsabile di una vasta gamma di processi infiammatori nel corpo, e l’inibizione di questo enzima può aiutare a trattare i sintomi di numerosissime malattie, dato che l’infiammazione è una costante comune nella maggior parte dei disturbi. Inibendo questi enzimi, potrebbe essere in grado di avere le stesse azioni di altri farmaci con meccanismo simile di azione, quali ad esempio l’acido acetilsalicilico (Aspirina), il naprossene, l’ibuprofene e la tolmetina.

Molecole di azione sinergica

Molte testimonianze hanno dimostrato che il CBD e il CBDA funzionano meglio se in combinazione, specialmente per malattie come l’epilessia. Sono necessarie azioni combinatorie di questi composti, perché le malattie sono spesso causate dalla errata regolazione di più sistemi fisiologici nel corpo. Gli scienziati che studiano la fisiopatologia di queste malattie possono imparare da questi risultati, chiarendo ulteriormente i meccanismi della malattia. Il CBD e il CBDA hanno incredibili proprietà terapeutiche, in particolare perché completano l’attività l’uno dell’altro.

Dati molto recenti hanno rivelato che gli acidi cannabinoidi (come il CBDA) possono aiutare l’assorbimento e il metabolismo del CBD o di altri fitocannabinoidi. Inoltre, la somministrazione di CBDA con il CBD diminuisce la quantità di CBD necessaria per raggiungere lo stesso livello di efficacia.

Fonte: https://www.endoca.com/it/tutto-sul-cbd/cosa-e-il-sistema-endocannabinoide

Per decenni i ricercatori hanno indagato gli effetti degli acidi grassi omega 3 sulla salute del cuore e l’influenza di questi nel ridurre il rischio di malattie cardiovascolari.

Gli Omega-3 sono parti importanti delle membrane cellulari del corpo e aiutano il funzionamento di cuore, polmoni, sistema immunitario e sistema ormonale.

Esistono tre tipi di acidi grassi omega-3:

– acido docosaesaenoico (DHA)

– acido eicosapentaenoico (EPA)

– acido alfa-linolenico (ALA)

I livelli di DHA sono particolarmente alti negli occhi, nel cervello e nelle cellule spermatiche.

L’EPA può avere alcuni benefici per ridurre l’infiammazione.

Il corpo scompone ALA in EPA e DHA, ma il tasso di conversione è basso.

Per questo motivo, le persone dovrebbero includere tutti e tre gli omega-3 nella loro dieta.

Uno studio pubblicato nel 2017 aveva dimostrato che un’alta dose di acido eicosapentaenoico (EPA) nei pazienti con elevato rischio di incorrere in malattie cardiache abbassava il rischio di tali patologie in maniera significativa – tanto che sia la Food and Drug Administration (FDA) che l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) hanno approvato la prescrizione di integratori a base di EPA per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari in pazienti con livelli di trigliceridi alti.

Tuttavia, studi successivi sugli integratori a base di omega 3 che combinano l’EPA con l’acido docosaesaenoico (DHA) hanno dato risultati contrastanti.

I ricercatori del Brigham and Women’s Hospital (Boston) hanno condotto uno studio sui dati di 38 integratori di acidi grassi omega 3, alcuni EPA-monoterapici e altri con una preparazione mista contenente EPA e DHA, testandoli su 149.000 partecipanti; non sono stati testati integratori con la presenza del solo DHA.

La ricerca è stata pubblicata su Lancet (Eclinical Medicine) una delle 5 riviste scientifiche più importanti al mondo.

Hanno valutato l’insorgenza delle principali malattie cardiache, sia fatali che non fatali, e della fibrillazione atriale.

In questa revisione sistematica e meta-analisi, è stata notata una moderata certezza di prove a favore degli acidi grassi omega-3 per ridurre la mortalità cardiovascolare e gli esiti finali.

L’entità delle riduzioni relative era robusta negli studi EPA rispetto a quelli di EPA+DHA, suggerendo effetti differenziali di EPA e DHA nella riduzione del rischio cardiovascolare.

Questi risultati hanno anche importanti implicazioni per la pratica clinica e le linee guida terapeutiche.

Questa meta-analisi fornisce rassicurazioni sul ruolo degli acidi grassi omega-3, in particolare dell’EPA, nell’attuale quadro di trattamento della riduzione del rischio cardiovascolare e incoraggia i ricercatori a esplorare ulteriormente gli effetti cardiovascolari dell’EPA in diversi contesti clinici.

Fonte: https://www.thelancet.com/journals/eclinm/article/PIIS2589-5370(21)00277-7/fulltext

Il Sistema Endocannabinoide è stato scoperto negli anni ’60 durante lo studio degli effetti del THC, la molecola psicoattiva della Cannabis, sul sistema nervoso. Nonostante il Sistema Endocannabinoide rivesta un ruolo chiave in moltissime funzioni, una vera e propria ricerca è cominciata a partire dagli anni ’90 fino ad arrivare al giorno d’oggi.

Gli studi scientifici hanno messo in evidenza due recettori: il CB1 e il CB2. 

Il CB1 è un recettore di membrana che si trova nel Sistema Nervoso Centrale in due zone che controllano il comportamento alimentare: la zona mesolimbica, legata al piacere di assumere cibo gustoso, alcool, nicotina e droghe, e la zona ipotalamica, legata alla produzione di molecole che regolano l’apporto di cibo. In seguito, i recettori CB1 sono stati trovati anche negli organi che controllano il metabolismo, come il tratto gastro-intestinale, il fegato, il pancreas endocrino, il tessuto adiposo e il muscolo scheletrico.

Il CB2 invece è un recettore coinvolto nel metabolismo dell’osso e ha la capacità di modulare la risposta immunitaria.

Dalla presenza di questi recettori, si arrivò ben presto alla conclusione che dovevano esistere anche delle molecole prodotte dal corpo che vi si legassero. Vennero quindi scoperti gli endocannabinoidi ( o cannabinoidi endogeni), rappresentati da molecole di derivazioni lipidica molto simili ai cannabinoidi esogeni (o fitocannabinoidi) della Cannabis. Fu subito chiaro quindi che l’organismo è dotato di un vero e proprio Sistema Endocannabinoide che si occupa di sintetizzare, o al contrario, di smaltire questi composti.

A differenza degli ormoni tradizionali e dei neurotrasmettitori che vengono immagazzinati in vescicole secretorie fino al momento del rilascio, gli endocannabinoidi sono sintetizzati e rilasciati sul momento e degradati subito la loro azione. Il Sistema Endocannabinoide agisce quindi su richiesta, esercitando le sue azioni solo dove e quando necessarie.

Il Sistema Endocannabinoide si basa su meccanismi intra-neuronali diversi da quelli dei normali neurotrasmettitori. Ecco perché è coinvolto sia nel controllo dell’appetito sia in molte altre funzioni fisiologiche correlate alla risposta allo stress e al mantenimento dell’omeostasi.

Gli endocannabinoidi hanno proprietà neuro-protettrici, sono in grado di regolare l’attività motoria e della memoria. Inoltre, il Sistema Endocannabinoide è coinvolto nella modulazione della risposta immunitaria, infiammatoria, endocrina ed esercita anche un’azione antiproliferativa.

Gli endocannabinoidi influenzano sensibilmente anche il sistema cardiovascolare e quello respiratorio, controllando il ritmo cardiaco, riducendo la pressione arteriosa e favorendo la  bronco-dilatazione.

Da un punto di vista nutrizionale, lo studio del sistema endocannabinoide è utile per comprendere il crescente fenomeno delle malattie metaboliche e dell’obesità legate ad uno stile di vita ed ad un’alimentazione poco sana che nel tempo sfociano in sovrappeso, diabete, dislipidemie, disturbi cardio-circolatori, ipertensione, infarti e ictus.

In condizioni fisiologiche gli endocannabinoidi vengono rilasciati durante il digiuno e promuovono la spinta a nutrirsi, riducendosi una volta esaurita l’assunzione di cibo e confermando che gli endocannabinoidi sono prodotti su richiesta.

Il Sistema Endocannabinoide modula, inoltre, i circuiti del piacere, fra cui l’appetito. Il cibo ingerito svolge un’azione sulle fibre nervose della dopamina, degli oppioidi, della serotonina e della noradrenalina, le quali connettono rombencefalo e mesencefalo all’ipotalamo per modulare l’azione di appetito e sazietà.

Da un lato c’è quindi una forte correlazione tra i livelli limbici di endocannabinoidi e dopamina e l’aumentato desiderio verso il cibo gustoso. Dall’altro lato però livelli costantemente elevati di endocannabinoidi, provocando un aumento del desiderio di cibo e quindi di gratificazione, continuano ad attivare il Sistema Endocannabinoide, che richiama altro cibo e che favorisce lo stoccaggio dei grassi.

La capacità di immagazzinare i grassi da parte delle cellule adipose aumenta e questo contribuisce al sovrappeso, all’obesità e ai disturbi metabolici già descritti.

Nella pratica clinica quotidiana è importante capire se la persona ha un comportamento alimentare regolare oppure se utilizza il cibo come gratificazione, al pari di qualsiasi altra dipendenza come fumo, droghe e alcool. In quest’ultimo caso il Sistema Endocannabinoide è molto più attivo della norma e questo sembra essere correlato all’obesità viscerale. Nelle forme più gravi, il Sistema Endocannabinoide diventa anche bersaglio dei farmaci che interferiscono con questa iperattivazione bloccando i recettori CB1, considerati utili per il trattamento dell’obesità e dei relativi fattori di rischio cardiometabolico (fonte: Veronica Pacella in www.enecta.com)

In parole semplici, la carenza di endocannabinoidi (CECD) è una condizione in cui il corpo produce una quantità inferiore di cannabinoidi rispetto a ciò che è essenziale per vivere una vita sana. La teoria sostiene inoltre che c’è una linea di malattie che può essere causata da questa carenza sottostante nel corpo.

Fu il Dr. Russo a inventare questa teoria, credendo che non fosse solo una deficienza limitata a condizioni come IBS, emicrania e fibromialgia – malattie che la medicina moderna non è ancora riuscita a spiegare pienamente – ma considerò che includeva il seguente:

  • MS (sclerosi multipla)
  • Parkinson
  • malattia di Huntington
  • Depressione
  • Insufficienza neonatale a prosperare
  • Fibrosi cistica
  • Glaucoma
  • dismenorrea
  • Spreco fetale inspiegabile (aborti ripetitivi)
  • Disturbo da stress post-traumatico (PTSD)
  • Malattia bipolare

Fonti:

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18773754

http://www.giornaledicardiologia.it/allegati/00669_2008_04/fulltext/S1-4_2008_10%2074-82.pdf

 

Le mele sono storicamente riconosciute come frutto con proprietà curative e il loro regolare consumo è generalmente associato ad un basso rischio di incidenza delle patologie cardiovascolari. Le diverse cultivar di mele non sono equivalenti, in particolare la mela Annurca è risultata la varietà più indicata per lo sviluppo di integratori utili per il mantenimento dei normali livelli di colesterolo nel sangue.

 

Recenti studi evidenziano che la frazione polifenolica (principalmente flavonoidi) della mela è responsabile di effetti benefici sulla salute tra cui:

– regolazione del metabolismo lipidico
– regolazione dell’assorbimento di glucosio
– beneficio sulla microcircolazione
– antiossidante
– antinfiammatorio

Caratteristiche:

  • produzione italiana
  • filiera totale
  • prodotto nutraceutico a base di estratto polifenolico concentrato di mela Annurca.

Secondo un recente studio clinico condotto dall’Università di Napoli è stato dimostrato che il consumo di due capsule al giorno di tale prodotto favorisce il ripristino del corretto equilibrio plasmatico tra i livelli di colesterolo totale, LDL-C e HDL-C che consiste in un abbassamento significativo del colesterolo totale e del colesterolo cattivo (LDL-C) e un aumento del colesterolo buono (HDL-C).
Tale risultato dimostra un’efficacia paragonabile a quella di classici farmaci indicati allo scopo. L’unicità che contraddistingue questo prodotto è rappresentata inoltre dall’assenza di effetti collaterali tipici dei farmaci e degli estratti (ad esempio riso rosso) più comunemente impiegati per la cura dell’ipercolesterolmia plasmatica.

La mela annurca campana è un prodotto a identità geografica protetta (Igp) tipico della Regione, dove la coltivazione si è andata diffondendo nei decenni scorsi in molte aree (prima quella giuglianese-aversana, poi il Maddalonese, il Beneventano, il Nocerino e tutta l’area dell’alto Casertano).

Secondo le prove,  consumando regolarmente due di queste mele al giorno si riducono in media dell’8,3% i livelli di colesterolo totale TC e del 14,6% il colesterolo ‘cattivo’ LDL. E, molto più importante,

la Mela Annurca campana incrementa del 15,2% i valori medi del colesterolo ‘buono’ HDL

Al momento nessun rimedio farmaceutico o naturale si è rivelato tanto efficace nell’incrementare in modo significativo i livelli del cosiddetto “colesterolo buono”.

Un futuro nutraceutico – È evidente quindi che lo studio apre grandi scenari all’impiego della Melannurca Campana Igp, come integratore nutraceutico. Potrebbe avere una diffusione e un successo come quello della melagrana come potente anti ossidativo.

I dati emersi dagli studi dei ricercatori dell’ateneo napoletano hanno evidenziato che l’annurca contiene sostanze in grado di contrastare la caduta dei capelli, sia negli uomini sia nelle donne. Da qui la messa a punto, dopo ulteriori ricerche e approfondimenti, di Integratori alimentari tricologici a base di estratto di mela annurca campana IGP (Malus pumila Miller cultivar Annurca) ricco in procianidine B2 con selenio, zinco e biotina”.

Contrastare l’alopecia androgenetica non è però l’unica proprietà virtuosa della melannurca:  altri esperimenti effettuati dagli stessi ricercatori partenopei hanno infatti evidenziato che i preparati a base di estratti di mela riescono a ridurre quasi del 30 percento i livelli di colesterolo complessivo, aumentando contestualmente la quantità colesterolo buono (Hdl).

Alla base di tante proprietà salutari ci sarebbe uno specifico gruppo di polifenoli, le cosiddette procianidine, le cui concentrazioni nella mela annurca campana Igp sono molto superiori a quelle di qualunque tipo di mela, grazie anche (probabilmente) al suo particolare processo di maturazione, che passa per una peculiare fase di “arrossamento”, ovvero un passaggio intermedio a terra in apposite strutture chiamate melai, filari di graticci di paglia ricavata dalla trebbiatura, dove le annurche sono esposte a maturare al sole dai 10 ai 15 giorni.

Le proprietà benefiche del frutto erano peraltro ben note a livello popolare, almeno fino a qualche decennio fa: fino agli anni 70’/ 80′ era ancora in auge l’abitudine di dare ai neonati e ai bambini la “grattata di mela annurca”, ossia la polpa grattugiata e ricca di succo del  frutto arricchito da una piccola aggiunta di zucchero (l’annurca è già discretamente dolce):  una sorta di salutare integratore alimentare d’antan, dalle spiccate qualità nutrienti, che oggi – dopo le conferme arrivate dalla ricerca – è diventato un “nutraceutico” a tutti gli effetti.

Nessun alimento vegetale può essere paragonato ai semi di canapa  per quanto riguarda il valore nutritivo. Mezzo chilo di semi di canapa fornisce tutte le proteine, gli acidi grassi essenziali e la fibra necessari alla vita umana per due settimane.

 

L’olio di semi di canapa è un alimento naturale che si ricava per spremitura a freddo dei semi biologici della canapa meglio conosciuta con il nome botanico Cannabis Sativa.
La canapa è tra gli amenti vegetali con il più alto valore nutrizionale, particolarmente ricco di poteine (20-25 %).

Tali proteine contengono tutti e nove gli amminoacidi essenziali in una combinazione proteica unica in tuo il mondo vegetale, fornendo così al nostro corpo la base su cui creare a e potei ne come per esempio le immunoglobuline o anticorpi. Gli anticorpi costituiscono il nostro sistema di difesa, respingono le infezioni prima ancora che arrivino i primi sintomi percepibili.
Il seme della canapa contiene anche una frazione gassa (34-35%o) di ottima qualità, costituita per il 70-75%o da omega-6 e omega-3 o acidi gassi essenziali (Essential Fatty Add = EFA), ossia il nostro corpo non è in grado di forma Mi da solo, quindi dobbiamo necessariamente introdurli con la dieta. Omega-6 e omega-3 dovrebbero essere assunti in una proporzione ideale di 3:1 tino a 5:1, se non vene rispettato questo rapporto si possono sviluppare sintomi di carenza e malattie sene, o al contrario accumulo di prodotti intermedi che ostacola il metabolismo degli acidi gassi.

L’olio di semi di canapa è correttamente equilibrato poiché contiene omega6-omega3 nel rapporto ottimale di 3 a 1, ideale come integratore senza promuovere l’accumulo di foli componenti.
Inoltre, è considerevole anche il contenuto di va mi ne e minerali presenti nell’olio di semi di canapa, va mina A, E (antiossidanti naturali),PP, C, e va mi ne del gruppo B, calcio, magnesio e potassio ecc.

L’olio di canapa rappresenta un rimedio basilare è, cioè, un amento che per sua natura può ottimizzare la sposta del sistema immunitario come prevenzione ma anche come rimedio per malattie alla cui origine c’è la reazione infiammatoria.

Il mondo scientifico ammette la straordinaria importanza del consumo adeguato di acidi gassi essenziali omega6-omega3 e la ricerca è ancora in continuo sviluppo. E’ sa to dimostrato che la somministrazione giornaliera di olio di semi di canapa abbassa nel sangue i livelli di colesterolo e di trigliceridi, oltre ad avere una importante funzione protettiva sul muscolo cardiaco dopo un danno, quale per esempio un infarto.

Infine, l’olio di canapa contiene anche piccole quantità di molte altre sostanze benefiche o persino essenziali.

Da menzionare:
I fitosteroli che ostacolano l’assorbimento del colesterolo e quindi abbassano i livelli di colesterolo nel sangue.
I fosfolipidi, conosciuti come lecitina, che sono essenziali per l’integrità delle membrane cellulari, iuta no a digerire i gassi e migliorano il loro utilizzo da parte del fegato.
I caroteni, che sono i predecessori della va mina A, necessari per crescita e per la vista.

La presenza di queste sostanze nutritive nell’olio di semi di canapa sostiene, inoltre, la sua reputazione come amento osco che fornisce una vasta gamma delle sostanze nutritive di cui il nostro corpo necessita, in un insieme bilanciato e gradevole al palato.

L’olio di canapa può essere considerato un “vaccino” nutrizionale, nel senso che ha tutti i benefici di un amento protettivo se introdotto quotidianamente con la dieta.
Recenti sudi scientifici hanno dimostrato come la canapa possa “aiutare” naturalmente molte patologie in quanto vanta diverse proprietà terapeutiche, per esempio nel dolore (a livello muscolare e nervoso), come antinfiammatorio e nelle allergie.

Attualmente sono in corso sudi per valutare eventuali effetti terapeutici della canapa sulle malattie della pelle tra le quali la psoriasi.

Fonte: Dott.ssa Antonella Chiechi – Medico Chirurgo – Specialista in Endocrinologia (Roma)

Il tinnito è una condizione debilitante dell’udito, che causa costantemente una cattiva percezione del suono, con sibili, vibrazioni e scrosci che possono notevolmente influire sulla salute in generale e sulla qualità della vita.

 

Uno studio pilota ha valutato l’efficacia del picnogenolo nel miglioramento del flusso cocleare in pazienti con tinnito lieve o moderato presente da almeno due settimane (senza vertigini o perdita di udito consistente) possibilmente associati ad ipoperfusione cocleare. Il tinnito è un disturbo nel quale il paziente percepisce una sensazione sonora senza che ci sia effettivamente un suono esterno. Si tratta di un disturbo debilitante che può riflettersi in modo marcato sulla qualità della vita. Il peggioramento del flusso è una causa comune di tinnito.

In questo studio sono stati arruolati pazienti con tinnito lieve-moderato, idiopatico, monolaterale presente da almeno due settimane; non sono stati rilevate vertigini o importanti perdite di udito all’esame specifico. L’origine del tinnito era stata improvvisa.

58 pazienti sono stati trattati con Pycnogenol®, una miscela brevettata (n.4698360 Horphag Research Ltd) di proantocianidine estratte dalla corteccia di pino marittimo francese. 24 pazienti hanno ricevuto 150 mg/die (gruppo A, età media 43,2 ± 4,3) e 34 pazienti hanno ricevuto 100 mg/die (gruppo B, età media 42,4± 3,8). Il gruppo di controllo comprendeva 24 pazienti (età media 42,3±4,5). I gruppi risultavano confrontabili per condizione clinica, età e sesso. La durata media del trattamento è stata di 34,3±3,1 giorni. Non sono stati osservati effetti collaterali e abbandoni dello studio.

Il flusso sanguigno nell’orecchio interno è stato misurato mediante ultrasonografia ad alta risoluzione.

Le variazioni della velocità del flusso cocleare (in cm/sec nell’arteria cocleare) all’inizio dello studio e dopo 4 settimane di trattamento hanno indicato che la velocità nell’orecchio malato era significativamente inferiore (sia la componente sistolica che diastolica; p<0,05) rispetto all’altro orecchio Pycnogenol® ha migliorato la velocità sistolica e diastolica del flusso nei gruppi di trattamento A e B (p<0,05). L’aumento della velocità di flusso nel gruppo di controllo è risultato invece molto limitato e non significativo.

Gli autori inoltre hanno utilizzato un scala soggettiva del sintomo STS (Subjective Tinnitus Scale) per valutare il tinnito. I risultati hanno dimostrato una riduzione da una media di 8,8 a 5,2 e 3,3 nei pazienti trattati con Pycnogenol® rispettivamente ad alte e basse dosi. Non sono state riportate modifiche secondo la scala STS nei pazienti del gruppo di controllo.

Questi risultati indicano che in pazienti selezionati con tinnito e alterata perfusione cocleare, Pycnogenol® è efficace in tempi brevi nell’alleviare i sintomi di tinnito migliorando il flusso sanguigno cocleare. L’effetto è più pronunciato a dosaggi maggiori.

Si auspicano ulteriori studi per valutare meglio la patologia e le potenziali applicazioni di Pycnogenol® in un più ampio numero di pazienti attualmente privi di una soluzione terapeutica.

Bibliografia: Grossi MG et al. “Improvement in cochlearr flow with Pycnogenol® in patients with tinnitus: a pilot evaluation” Panminerva medica 2010 June; 52 (2 suppl 1): 63-8
Visita anche la pagina APPARATO CIRCOLATORIO

Il resveratrolo è un polifenolo, una molecola con funzioni antiossidanti presente nell’uva e nel vino rosso, bevanda non a caso “osannata” più volte per i suoi effetti positivi sulla salute se bevuta in modiche quantità. La sostanza deve la sua fama proprio agli studi di Sinclair, il quale lo ha scoperto dotato di poteri “allunga-vita” nei topi e in altri animali.

Ma il resveratrolo potrebbe fare di più che “semplicemente” spostare il nostro “calendario”, potrebbe infatti aiutare ad invecchiare in salute proteggendo dalle malattie.

 Proprio Sinclair in uno dei suoi tanti studi pubblicato sulla rivista Nature lo scorso anno aveva dimostrato che la molecola protegge dai rischi per la salute legati all’ obesità: pur non aiutando a perdere peso, il resveratrolo è risultato capace di contrastare le conseguenze dell’obesità in topolini ipernutriti con una dieta ricca di grassi. Di fatto rende la fisiologia del corpo dei topolini grassi molto simile a quella di topolini di peso normale, insomma il resveratrolo protegge gli animali dalle disastrose conseguenze del sovrappeso.

Il nuovo studio pubblicato  da Sinclair insieme con Rafael de Cabo dell’Istituto Federale di Ricerca sull’Invecchiamento (National Institute on Aging) mostra altri poteri protettivi del resveratrolo. Gli scienziati hanno osservato a lungo lo stato di salute di topolini di mezza età (con un’età comparabile ai nostri 40 anni) nutrendoli o con una dieta eccessivamente calorica o con una dieta sana. Ad alcuni dei topolini gli scienziati hanno aggiunto una dose giornaliera di resveratrolo. E’ emerso intanto che i topolini ipernutriti che assumono resveratrolo riescono a vivere più a lungo dei ‘compagni’ ipernutriti cui non è somministrata la molecola. Poi Sinclair ha visto che, indipendentemente da eventuali effetti ‘allunga-vita’, i topolini che prendevano resveratrolo erano protetti da molte malattie legate all’età: dalla cataratta alle malattie cardiovascolari, inoltre il resveratrolo riduce il colesterolo, protegge la salute delle arterie, rafforza le ossa e preserva equilibrio e coordinazione motoria.

Insomma, anche se tutti questi effetti benefici sono stati riscontrati finora solo su topolini, il resveratrolo potrebbe davvero divenire la base per un farmaco che ci permetta di invecchiare in salute al riparo dalle malattie che tipicamente insorgono con gli anni, soprattutto se non si osservano stili di vita corretti o si è in sovrappeso.

 RESVERATROLO …UN’ALTERNATIVA NATURALE ALLA TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA?

In base a un nuovo studio sembra che il trattamento basato sul resveratrolo potrebbe essere un’alternativa naturale alla terapia ormonale sostitutiva (HRT) in donne in post-menopausa.

Le conclusioni di uno studio pubblicato nel Journal of Nutritional Biochemistry indicano che il resveratrolo è il candidato più probabile tra i fitoestrogeni ad offrire una HRT più sicura grazie alle sue peculiari proprietà estrogeniche e antiossidanti.

I Fitoestrogeni sono sostanze vegetali naturali che esercitano un’attività debolmente estrogenica nei mammiferi; alcuni esempi sono la daidzeina, genisteina e gliciteina della soia, il cumestrolo nei fagioli e nei germogli di erba medica e il resveratrolo delle bucce d’uva e del vino rosso.

L’obiettivo di questo studio quindi è stato di valutare gli effetti estrogeno-simile dei singoli fitoestrogeni alimentari, analizzando i loro effetti sulla crescita cellulare incontrollata, sul ciclo cellulare e sull’apoptosi (morte cellulare programmata).

 Risultati

Benchè sia la genisteina, il resveratrolo che la gliciteina aumentino l’apoptosi e riducano il rapporto Bcl-2/Bax, il resveratrolo riduce questo rapporto più degli altri composti, contrastando in tal senso la crescita cellulare incontrollata.

Poichè il resveratrolo stimola la trascrizione del recettore per gli estrogeni endogeno e gli effetti proapoptotici, questo fitoestrogeno è il candidato più promettente per la terapia ormonale sostitutiva. Gli Autori sottolineano che sono necessarie nuove ricerche per comprendere il meccanismo col quale il resveratrolo sia in grado di sopprimere la crescita cellulare.

FONTE: T Sakamoto, H Horiguchi, E Oguma, F Kayama “Effects of diverse dietary phytoestrogens on cell growth, cell cycle and apoptosis in estrogen-receptor-positive breast cancer cells” Journal of Nutritional Biochemistry

RESVERATROLO, PATRIMONIO GENETICO, LONGEVITA’ E QUALITA’ DELLA VITA

 Negli ultimi decenni sono state fatte tre importanti scoperte sui fattori che regolano la durata della nostra vita:

1) la restrizione calorica ha un effetto antinvecchiamento sull’uomo e sugli animali: gli animali obesi tendono a vivere meno mentre quelli mantenuti a dieta ipocalorica tendono a vivere più di quanto dovrebbero;

2) il nostro metabolismo oltre a produrre energia produce delle “scorie” sotto forma di radicali liberi che finiscono con il danneggiare la cellula e le sue strutture;

3) nell’ultimo decennio gli scienziati hanno individuato una serie di geni le cui mutazioni possono prolungare la vita.

In particolare recentemente Leonard Guarente al MIT di Boston ha individuato un gruppo di geni denominati “SIR”, attivati da un regime di restrizione calorica, che provocano un prolungamento della vita. Nel 2003 David Sinclair uno scienziato dell’Harvard University ha scoperto che tali geni possono essere attivati anche dal resveratrolo, una molecole normalmente contenuta nel vino rosso e negli acini d’uva. La scoperta di questo nuovo meccanismo d’azione ha aumentato in maniera rilevante l’importanza del resveratrolo ( e di conseguenza di altri polifenoli) fino ad oggi considerati dei semplici antiossidanti come molte altre molecole naturali.

Nel 1933, Mc Cay e collaboratori, scoprirono come la restrizione calorica ha l’effetto di prolungare la vita degli animali da esperimento.

Solo nel 2003 però Leonard Guarente e Jana Koubova (2003) prima e David Sinclair (2005) dopo fecero chiarezza sul meccanismo fisiologico alla base di un tale effetto.

La restrizione calorica attiverebbe una gruppo di geni denominati SIR, che regolerebbero la durata della vita in diverse specie di animali. I geni SIR, presenti in molte specie viventi, regolerebbero la produzione di particolari enzimi denominati SIRT 1 e SIRT 2.

E’ dimostrato che i geni SIRT 2 una volta attivati ritardano l’apoptosi e favoriscono i meccanismi di riparazione cellulare nei lieviti mentre gli enzimi SIRT 1, presenti nei mammiferi, inibiscono l’aterosclerosi, l’insorgere di neoplasie e la neurodegenrazione e ritardano l’apoptosi e quindi la morte cellulare. La restrizione calorica, cioè la scarsità di cibo, provocherebbe una aumentata espressione degli enzimi SIRT 1, che influenzano direttamente l’immagazzinamento dei grassi e il metabolismo dei glucidi. L’attivazione degli enzimi SIRT 1 implica un aumento della biogenesi dei mitocondri cui corrisponde un aumento del metabolismo energetico.

La presenza di questi geni nel nostro corredo genetico solleva un problema molto chiaro: quale è la loro funzione?

Da questa premessa nasce la cosiddetta ipotesi dell’ “ormesi”. La restrizione calorica, condizione sperimentata più volte nella storia dell’umanità in epoca di carestie, soprattutto prima dell’avvento dell’agricoltura, è una condizione stressante che provoca una risposta di sopravvivenza per superare le avversità: il metabolismo viene alterato e le difese dell’organismo vengono aumentate. Il comportamento sessuale viene ridotto in quanto in epoca di carestia la sopravvivenza dei nuovi nati è più precaria mentre grazie all’attivazione degli enzimi SIRT 1 viene prolungata la vita dell’individuo.

Grazie alla stimolazione degli enzimi SIRT 1 il nostro organismo diventa più resistente alla restrizione di nitrogeno e di amminoacidi, di glucosio, allo stress osmotico e allo stress da caldo (Sinclair 2005). A livello cellulare viene migliorata la stabilità del DNA, aumentano i meccanismi di riparazione e difesa, il coordinamento della risposta allo stress, l’aumento di produzione di energia e in generale il prolungamento della sopravvivenza delle cellule.

In epoca di carestia però anche gli organismi vegetali subiscono uno stress dovuto al maggior attacco di insetti e altri animali per difendersi dai quali generalmente producono maggiori metabolici secondari (come il resveratrolo ad esempio).

L’attività SIRT 1 è aumentata nelle cellule grasse dopo una limitazione di cibo provocando la mobilizzazione delle riserve di grasso dalle cellule al flusso sanguigno per la loro conversione in energia negli altri tessuti. Se ad un animale viene somministrato un attivatore degli enzimi SIRT egli non aumenterà di peso dopo una dieta ad alto contenuto in grassi. Tra oltre 20.000 sostanze testate come attivatore degli enzimi SIRT il resveratrolo e 18 altri polifenoli dell’uva sono risultati i più attivi.

Queste sostanze sono risultate:

  • Le prime sostanze in grado di estendere la lunghezza della vita in diverse specie;
  • In grado di proteggere le cellule dell’organismo dallo stress ossidativo e dalle radiazioni gamma;
  • Capaci di sopprimere i fattori infiammatori N FK-B, COX-1 e -2, PI3 chinasi;
  • Esercitare un’azione neuroprotettiva contro i ROS;
  • Aumentare il metabolismo del glucosio e l’utilizzazione dell’insulina.

RESVERATROL

Il resveratrolo è una piccola molecola presente nel vino rosso e ottenuta da una varietà di piante sotto stress.

La somministrazione di 100mg e 400mg di resveratrolo al giorno è chiaramente in grado di allungare la vita dei ratti da esperimento se paragonata a un gruppo controllo che assumeva solo placebo. Mentre i ratti alimentati con questa sostanza presentavano un allungamento della vita del 59%, una attività fisica alla 90 settimana quattro volte maggiore ed un cervello più giovane con una memoria più grande (Valenzano etal 2006)

Il resveratrolo riduce il peso ed il grasso nei modelli animali (ratti) con obesità indotta da una dieta ricca in grassi saturi: se paragoniamo il fegato di ratti alimentati con una dieta a basso contenuto di grassi per 18 mesi con quello di ratti alimentati con una tipica dieta occidentale e quella di ratti che assumono la dieta occidentale + resveratrolo possiamo osservare come il fegato di quest’ultimi sia paragonabile a quello dei ratti che seguivano una dieta povera in grassi nonostante assumessero grassi in abbondanza nella loro dieta (Sinclair 2005).

Non solo ma anche la muscolatura dei ratti alimentati con resveratrolo è diversa da quella dei ratti che assumono solo sostanza placebo: maggior consumo di energia, aumentata resistenza e un metabolismo prevalentemente ossidativo sotto sforzo rispetto a quello glicolitico dei ratti senza resveratrolo.

Infine la memoria dei ratti che assumono resveratrolo risulta decisamente migliore di quella dei ratti che non l’assumono.

Vanno infine citate le importanti proprietà antinfiammatorie del resveratrolo dimostrate in modelli di osteoartrite (EElmali et coll. 2005) e di colite (Ramon Marti net al 2006) nei ratti. L’importanza del resveratrolo sembra risiedere nel fatto che agisce a differenza degli antinfiammatori non steroidei (NSAID) su molteplici target del processo infiammatorio.

I NSAID agiscono infatti sul sistema delle COX mentre il resveratrolo oltre ad agire sul sistema COX, esercita un importante effetto farmacologico sui sistema NF-kB

POLIFENOLI DELL’UVA (VITIS VINIFERA)

Migliaia di polifenoli naturali (oltre 100.000) si trovano nelle piante: essi sono probabilmente i più abbondanti antiossidanti nella nostra dieta, le sostanze che ci proteggono dallo stress ossidativi. I polifenoli possono prevenire tutte le malattie associate con lo stress ossidativo, come le malattie cardiovascolari, il cancro e le malattie infiammatorie.

Il più abbondante tipo di polifenoli presenti nella dieta sono i flavonoidi: flavoni, flavonli, isoflavonoli, antocianine, flavoni, porantocianidine e flavanoni.

Le fitoalexine, come il resveratrolo contenuto nell’uva, sono molecole polifenoliche che proteggono l’ambiente da vari stress ambientali: se l’uva è sotto stress (attacchi da funghi, altri microbi, secchezza, eccessivi raggi UV, etc ) produce una più alta concentrazione di fitoalexine nella buccia degli acini, I ricercatori hanno identificato nella buccia degli acini dell’uva i geni specifici responsabili per la biosintesi delle fitoalexine.

Nel 1991 esplose il caso del “Paradosso Francese”: una ricerca epidemiologica evidenziò come i francesi che consumano circa il 40% in più di grassi di origine animale al giorno, quattro volte la quantità di burro, il 60% in più di formaggi e 3 volte più di carne di maiale degli americani, hanno un tasso di mortalità dovuto ad attacchi di cuore e a patologie delle arterie che è solo la metà di quella degli americani.

La  spiegazione venne trovata in un maggior consumo divino rosso, ricco di polifenoli e antiossidanti (oltre ovviamente all’alcool che comunque ha un effetto vasodilatore).

Successivamente le stesse proprietà vennero evidenziate anche nel succo di uva rossa (privo di alcool) e imputate quindi essenzialmente ai polifenoli e al resveratrolo in particolare.

In realtà il resveratrolo da solo non può essere responsabile di tutte le proprietà dell’uva rossa:

– in quanto è presente in piccolissime quantità;

– una volta assorbito va incontro rapidamente a processi di sul fonazione e di glicosilazione;

– studi metabolici hanno evidenziato come i livelli di resveratrolo dopo assunzione allo stato puro sia a livello palsmatico molto bassi;

– esiste però un aumentato assorbimento e un effetto sinergico quando il resveratrolo viene assunto con altri polifenoli del vino rosso.

I benefici del vino rosso sono quindi imputabili non al solo resveratrolo ma a un effetto sinergico di questo con gli altri polifenoli. E’ infatti dimostrato che:

  • i polifenoli del vino rosso sono reperibili a livello plasmatici dopo consumo di soli 100ml divino rosso;
  • la loro concentrazione nel plasma dopo consumo di 200ml è compresa tra 1-10 mg/ml;
  • una loro miscela ha un effetto inibitorio sulla proliferazione delle cellule muscolari liscie riducendo in questa maniera il rischio cardiovascolare (Toba etal 2000);
  • i polifenoli dell’uva hanno un effetto antiossidante inibendo l’ossidazione del colesterolo LDL.

Tra tutte le qualità di vino quella che sembra produrre la maggior quantità di polifenoli è una varietà di Pinot Nero che proviene dall’Australia dove lo stress dovuto all’attacco di infezioni fungine e radiazioni UV determina un’alta concentrazione di queste sostanze. L’azione degli estratti di questa uva australiana è in grado di prolungare la vita dei lieviti in maniera analoga a quanto esercitato dal resveratrolo.

RESVERATROLO E POLIFENOLI, UNA SINERGIA INDISPENSABILE

Come abbiamo detto il resveratrolo è presente in quantità abbastanza basse nella buccia dell’uva nera. Per ottenere una quantità farmacologicamente significativa esso va estratto da una pianta cinese: il Polygonum cuspidatum (Hu Zhang) attraverso un processo tecnologicamente sofisticato.

L’importanza dell’associazione tra il resveratrolo da Polygomun cuspidatum e l’estratto di uva deriva dal fatto che negli estratti di uva spesso il resveratrolo non arriva a dosaggi farmacologicamente significativi, ma l’utilizzo del solo resveratrolo non garantisce che questo possa arrivare nella giusta concentrazione nel sangue. Ogni volta che apriamo una bottiglia di vino infatti il resveratrolo va incontro a un rapido processo di ossidazione (Prokop et al 2006).

lI resveratrolo esiste infatti in due forme, cis- e trans-. La forma trans- è quella biologicamente più attiva. La conversione da trans- a cis- avviene con l’esposizione alla luce e all’ossigeno (Canto set al 2000). II resveratrolo trans- è ben assorbito a livello intestinale. La dose minima per cui il suo dosaggio sia apprezzabile a livello ematico è di 100 mg.

La biodisponibilità è comunque bassa dovuta al rapido metabolismo e conversione nei metaboliti trans-resveratrol-3-o- glucuronide e trans-resveratrol-3-solfato. Gli studi fino ad oggi realizzati hanno utilizzato dosi molte alte di resvetarolo, molto più alte di quella degli estratti di uva (Bauret al 2006; Lagouge et al 2006).

Sulla base di questi studi e poiché è dimostrato che la quercitina come altri polifenoli dell’uva inibiscono i processi metabolici di glucoronizzazione e di sulfazione il resveratrolo in ResAge è stato associato a un estratto di vino australiano ricco in polifenoli. In questa maniera la biodisponibiltà del resveratrolo risulta aumentata fino ad ottenere una concentrazione ematica farmacologicamente significativa.

  Studio Clinico (Dott. Antonio Bianchi)

Lo studio clinico eseguito su ResAge è stato realizzato su 90 soggetti adulti sedentari divisi in due gruppi: un gruppo ha ricevuto ogni giorno per 90 giorni una capsula di ResAge corrispondente a 100 mg di resveratrolo.

L’altro gruppo ha ricevuto una sostanza placebo. I soggetti avevano 30-65 anni di età e sono stati sottoposti a test da sforzo con cicloergometro e a test computerizzato sulla memoria all’inizio e alla fine dello studio.

Il test con cicloergimetro consisteva in un test effettuato partendo da una resistenza inziale di 50W che veniva incrementata di 25W ogni 3 minuti fino a quando il soggetto richiedeva di fermarsi. Il test sulla memoria è un noto test elaborato dall’università di Pittsburg, USA,denominato ImPACT®.

I risultati evidenziati dallo studio dimostravano che a parità di sforzo fisico i soggetti che assumevano ResAge manifestavano una minor tachicardia, segno di un minor sforzo fisico mentre il test sulla memoria evidenziava un miglioramento molto marcato dei processi mnemonici. Questo dato è particolarmente importante considerando la potenziale azione preventiva del resveratrolo sull’Alzheimer (Anekonda 2006).

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E’ noto che il coenzima Q offre una protezione alle cellule cardiache durante gli interventi di cardiochirurgia e sussiste una buona evidenza che la somministrazione di coenzima Q sia un valido aiuto per le normali terapie dell’insufficienza cardiaca. 

Dalla pubblicazione del primo studio clinico nel i 974 ad oggi sono stati realizzati i 6 studi clinici randomizzati verso gruppo controllo e 7 studi clinici aperti che hanno dimostrato come l’assunzione di 100 mg di coenzima Q al giorno offra ai soggetti cardiopatici (secondo la classificazione americana NYHA classe TI-TV) un miglioramento dei parametri emodinamici e della tolleranza allo sforzo.

Questi studi clinici comprendevano un totale di oltre 1000 soggetti con insufficienza cardiaca: i miglioramenti dei parametri cardiaci comprendevano un miglioramento dello stroke volume, dell’indice cardiaco e della frazione di eiezione ventricolare sinistra. I soggetti che assumono coenzima Q in genere manifestano una diminuzione della dispnea e della fatica alle gambe in particolare dopo esercizio: va sottolineato come l’apporto del Coenzima Q all’esercizio fisico possa essere importante. Dopo l’inizio della terapia con ACE-inibitori l’aumento del tempo di esercizio fisico tollerato è generalmente di i minuto mentre con 100 mg di coenzima Q arriva a 3-6 minuti.
A fronte di questi effetti il coenzima Q è estremamente ben tollerato: su oltre i 1000 pazienti l’incidenza di effetti avversi era paragonabile a quella del placebo e questi erano di tipo transitorio e minore: disturbi epigastrici (0.39%), diminuzione dell’appetito (0.23%) nausea(0, 12%). Qupres è costituito dall’associazione tra coenzima Q e estratto di biancospino. Quest’ultimo possiede oltre 14 studi clinici che dimostrano un miglioramento agli esercizi fisici e della sintomatologia dei soggetti affetti da un declino delle funzioni cardiache compatibili con la classificazione della classe TI della classificazione NYHA.

L’estratto di biancospino e il coenzima Q
Agiscono in sinergia nelle forme più lievi di insufficienza cardiaca mentre nelle classi III e IV della classificazione NYHA solamente l’elevato dosaggio del coenzima Q permette un’azione clinicamente rilevante. Va sottolineato che Qupres è un integratore alimentare che può apportare significativi benefici alle normali terapie cardiologiche, ma che non può in alcuna maniera sostituire quest’ultime.

Qupres e la terapia statinica
Sulla base della comune biosintesi tra coenzima Q e colesterolo, le statine, che sono potenti inibitori della sintesi di colesterolo provocano una diminuzione dei livelli di coenzima Q presenti nell’organismo. Questo è stato dimostrato sulla base dei livelli plasmatici di coenzima Q dei soggetti in corso di terapia statinica: alcuni effetti avversi delle statine (mialgia, fatica e la stessa rabdomiolisi) possono dipendere dalla deplezione di coenzima Q. Silver e coll (American Journal ofCardiology, 2004, vol 94: 1306-1310) hanno recentemente valutato la funzione ventricolare sistolica prima e dopo terapia con atorvastatina in un gruppo di 14 soggetti asintomatici.

Dieci dei 14 soggetti dimostravano un peggioramento della funzione ventricolare sinistra e nove di questi, che ricevettero una supplementazione di Coenzima Q (pari a i 00mg x 3 capsule al giorno) mentre continuavano l’atorvastatina recuperarono rapidamente una normale funzione ventricolare. La frazione di eiezione ventricolare è stata studiata in un gruppo di soggetti ipercolesterolemici asintomatici in terapia con simvastatina (Coiquhoun et al: European Journal of Clinical Investigation, 2005, 35:251-258).: essa diminuì in maniera significativa dopo un mese di terapia, alterazioni che perdurarono per oltre 3 ,6 mesi dopo la sospensione della terapia statinica.
Sulla base di queste considerazioni e di una forte evidenza di laboratorio è razionale e prudente suggerire a quanti in terapia con statine una integrazione con i -2 capsule al giorno di Qupres al fine di evitare eventuali effetti avversi dei farmaci.

Qupres e la pressione arteriosa
Dodici studi clinici per un totale di 362 pazienti (Rosenfeld e coll. Journal ofHypertension, 2007, 21: 297-306), costituiti da tre studi clinici randomizzati, uno studio crossover e otto studi clinici aperti, hanno dimostrato che l’assunzione di i 00 mg al giorno di coenzima Q per un mese è in grado di diminuire in maniera significativa la pressione arteriosa. Gli studi clinici randomizzati dimostrano una diminuzione media di 16.6 mmHg (12.6-20.6 mmHg) della pressione sistolica (pressione sistolica iniziale pretrattamento: 167.7 mmHg ( valori compresi tra 163.7-171.1 mmHg); pressione sistolica media dopo trattamento: 151.1 mmHg (valori compresi tra 147.1 -155.1 mmHg). La pressione diastolica diminuisce invece mediamente di 8.2 mmHg (6.2-10.2 mmHg): valori iniziali medi della pressione diastolica di 103 mmHg (valori compresi tra 101 . 105 mmHg) e valori medi diastolici dopo trattamento di 94.8 mmHg (valori compresi tra 92.8-96.8 mmHg). In particolare nello studio crossover i valori della pressione sistolica arteriosa diminuivano di 11 mmHg e quelli della pressione diastolica arteriosa di 8 mmHg.

Gli studi clinici aperti dimostrano una diminuzione della pressione sistolica di 13.5 mmHg ( 9.9-17.1 mmHg) con una pressione sistolica media prima del trattamento di i 62 mmHg (valori compresi tra i 5 8 .4-165 .7 mmHg) e una pressione sistolica media dopo il trattamento di 148.6 mmHg (145-152.2 mmllg). La pressione diastolica diminuiva di 10.3 mmHg (8.4-12.3 mmHg): valori medi inziali della pressione diastolica prima del trattamento di 97.1 mmHg (valori compresi tra 95.2-99. 1 mmHg) e dopo il trattamento di 86.8 mmHg (valori compresi tra 8.4- 12.3 mmHg).

Sulla base di questi studi clinici Qupres può diminuire la pressione arteriosa sistolica di 17 mmHg e quella diastolica di 10 mmHg nei soggetti affetti da ipertensione moderata lieve.

Qupres non diminuisce la pressione nei soggetti normotesi e non va inteso come sostituto delle normali terapie antipertensive.

 

Si stima che almeno il 30% della popolazione mondiale soffra d’ipertensione arteriosa. Ufficialmente nel nostro Paese gli ipertesi sarebbero tra i 15 e i 20 milioni, ma solo il 50-60 % sa di esserlo. Però ci sono anche parecchie persone che per errori diagnostici o per eccesso di medicalizzazione assumono farmaci inutilmente.

L’ipertensione arteriosa è oggi un problema estremamente diffuso nella popolazione ed interessa praticamente tutte le fasce di età. In realtà non si tratta di una vera e propria malattia, ma di un sintomo, di una reazione di adattamento dell’organismo che oltre un certo livello diventa inopportuno e dannoso. Se le arterie delle varie strutture periferiche al cuore sono indurite dall’aterosclerosi o contratte dal freddo, come avverrebbe in ogni circuito idraulico, la pressione nei vasi aumenta. Si instaura l’ipertensione che può determinare sfiancamento a monte, a livello del cuore , o rotture a valle con emorragie a livello di vari organi, in particolare in sede cerebrale. Le conseguenza a lungo termine dell’ipertensione possono quindi essere anche molto gravi ed è necessario intervenire, ma in modo mirato e razionale. Anche in questo campo la Medicina Tradizionale, che pesca nell’immensa farmacia della Natura, può proporre rimedi efficaci a patto che si individuino almeno i moventi principali del problema e non si voglia solo sopprimere il sintomo.

La FITOTERAPIA offre una serie di piante estremamente efficaci e tra le terapie naturali è forse quella che dà maggiori risultati nella cura dell’ipertensione.
Purtroppo, in tempi recenti molte di queste piante sono state letteralmente fatte scomparire dal mercato, seguendo una logica secondo la quale le piante che funzionano vanno eliminate per non turbare il mercato del farmaco allopatico multimiliardario.
Per quanto riguarda la loro presunta tossicità, oltremodo esagerata, è decisamente, e di molte misure, inferiore ai comuni farmaci con cui abitualmente molti di noi volentieri si imbottiscono.
Per altro, non si capisce come mai queste stesse piante sono state usate vantaggiosamente dall’uomo per migliaia di anni.

Anche la Micoterapia dà risultati sorprendenti, che sembrano incredibili per l’efficacia.

Auricularia, Cordyceps, Reishi e Polyporus: decine di ricerche Scientifiche prodotte dimostrano il miglioramento di chi soffre di pressione arteriosa elevata, con la Micoterapia ed in primis con Auricularia e Cordyceps, che sono i funghi salutari più ricchi di principi tonici del cuore e della circolazione.
Alcuni studi scientifici hanno anche dimostrato tracciati elettrocardiografici (ECG) migliori.
Di conseguenza il medico che verifica questa evoluzione positiva spesso riduce gradualmente le terapie chimiche convenzionali.

Auricularia aumenta la fluidità del sangue. È un fungo con proprietà anticoagulanti.Previene la formazione di emboli e trombi e migliora la circolazione. Questo fungo può essere impiegato come anticoagulante naturale.
Esercita un’azione di protezione cardiovascolare molto complessa e particolare: previene trombosi ed ostruzioni vasali con effetto ipolipemizzante ed antiaggregante piastrinico (Adenosina) senza indurre emorragie e soprattutto senza danneggiare il collagene. In questo modo esercita indirettamente un’azione terapeutica sull’aterosclerosi.

Auricularia agisce sull’insufficienza venosa periferica rinforzando i vasi sanguigni, inducendo vasodilatazione e stimolando la circolazione. Migliora in questi casi la sintomatologia dolorosa, prevenendo problematiche di occlusione dei vasi periferici. La sua azione di rinforzo del collagene vasale previene il rischio di emorragie interne. La sua azione sulla circolazione agisce positivamente anche su emicranie e tinnito.

Indicato per sportivi e anziani CORDICEPS aumenta il livello di corticosteroidi 1 ora dopo l’assunzione. E’ un fungo molto utilizzato per gli atleti per la sua capacità di tonificazione muscolare e di miglioramento della funzione cardiocircolatoria. Migliora la reattività e la potenza muscolare fino al 40%, migliora le prestazioni aerobiche e l’eliminazione dell’acido lattico dopo lo sforzo. Per gli anziani migliora la stanchezza ed altri sintomi legati all’invecchiamento quali: freddolosità, insonnia, ansia, riduzione delle funzioni sessuali, amnesia, depressione e sindrome metabolica.