Sistema endocannabinoide
Che cos’è il sistema endocannabinoide?

Il sistema endocannabinoide è un regolatore omeostatico chiave del corpo, che svolge un ruolo in quasi tutti i sistemi fisiologici. Per un lungo periodo di tempo è stato trascurato come possibile obiettivo terapeutico, in particolare perché non si sapeva molto delle implicazioni sulla malattia sistematica. Tuttavia, con gli incredibili successi avuti con l’uso della cannabis terapeutica e dei prodotti a base di canapa, in particolare del cannabidiolo (CBD) e dell’acido cannabidiolico (CBDA), molti scienziati stanno spostando la loro attenzione sul sistema endocannabinoide.

Prove più evidenti stanno venendo alla luce, sostenendo la teoria della carenza endocannabinoide clinica sostenuta dal dott.Ethan Russo, in particolare per le malattie come l’emicrania, la fibromialgia e la sindrome dell’intestino irritabile. Dato l’alto numero di malattie che hanno mostrato anomalie nel sistema endocannabinoide come l’epilessia, il cancro e una vasta gamma di malattie neurodegenerative, questa è un’area che sarà senza dubbio esplorata ulteriormente in futuro.

Oltre ai composti derivati ​​dalla cannabis, recentemente è emerso che un’ampia gamma di composti naturali interagiscono con il sistema. Ciononostante, il CBD e il CBDA sono ancora considerati i composti chiave (o quelli che hanno dimostrato la maggiore efficacia fino ad oggi) e l’evidenza del loro valore terapeutico cresce ogni giorno. La ricerca sul CBD e il CBDA sta crescendo rapidamente, ed è stato rivelato un vasto numero di obiettivi farmacologici. Il preciso meccanismo d’azione per entrambi questi composti rimane ancora un mistero, ma le loro caratteristiche farmacologiche forniscono indizi interessanti sul loro funzionamento.

Cannabidiolo: come funziona?

L’azione farmacologica del CBD è molto interessante, in quanto ha un’azione molto limitata sui recettori CB1 e CB2. Tuttavia è in grado di bloccare le azioni dei composti che attivano questi recettori, come il THC. Questa proprietà del CBD è molto importante, in quanto può sopprimere quella psicoattiva del THC. Questo può risultare utile per coloro che usano il THC per il trattamento di condizioni come dolore e spasticità. Ridurre la psicoattività ridurrebbe gli “effetti collaterali” del THC e della cannabis terapeutica, e questo equilibrio può essere controllato somministrando il CBD insieme al THC.

L’enzima amide idrolasi degli acidi grassi (FAAH) è l’enzima responsabile della degradazione intracellulare dell’anandamide, e il CBD ha dimostrato di inibire questo enzima. In questo modo il CBD ripristina i livelli di anandamide (bloccando la sua rottura), ripristinando così la carenza endocannabinoide clinica osservata in molte malattie. Uno studio clinico eseguito con il CBD sulla schizofrenia ha dimostrato che questo composto ha causato un aumento significativo dei livelli sierici di anandamide, e si è pensato che questa fosse la causa dell’evidente miglioramento clinico.

 

Il cbd mostra affinità con i recettori non endocannabinoidi

Il CBD è un composto enantiomerico, e l’enantiomero (-) è risultato significativamente più potente dell’enantiomero (+) nell’inibizione della FAAH. Al contrario, l’enantiomero (+) ha mostrato più affinità per i recettori CB1 e CB2 rispetto all’enantiomero (-). Per questo motivo il (+) – CBD probabilmente servirà meglio se in combinazione con il THC, mentre (-) – CBD potrebbe essere sfruttato per trattare la carenza di endocannabinoidi. Gli studi hanno rivelato che il CBD ha affinità con alcuni Transient receptor potential channels (TRP channels), il che amplia la portata delle malattie che il CBD può guarire. Il CBD ha dimostrato di desensibilizzare (smorzare l’attività del recettore) i canali TRPV1, TRPV2, TRPV3, TRPV4 e TRPA1.

Questi recettori sono altamente attivi negli stati di dolore in una vasta gamma di malattie. Il CBD ha anche dimostrato di essere un antagonista del recettore TRPM8, che è un altro interessante bersaglio recettore per il trattamento del dolore – in particolare l’allodinia. Al di fuori del sistema endocannabinoide, il CBD si rivolge anche ai recettori di segnalazione neurale chiave come il 5-HT1a e il 5-HT3a. Sebbene non si sappia molto sulle implicazioni di questi recettori nella malattia, si ritiene che siano fortemente implicati in malattie come l’epilessia e in numerosi disturbi ansiosi.

Acido cannabidiolico (cbda): il precursore con un ruolo importante.

Il CBDA è il precursore acido del CBD. La conversione avviene convenzionalmente da una reazione attivata dal calore, che porta alla rimozione del gruppo carbossile dal CBD. Poiché l’interazione del CBDA con il sistema endocannabinoide è piuttosto limitata, è spesso trascurato come composto terapeutico. Tuttavia, ha una serie di interessanti recettori bersaglio che sono molto importanti per un certo numero di malattie. Proprio come il CBD, il CBDA desensibilizza i recettori TRPV1, TRPV3, TRPV4 e TRPA1.

Ciò suggerisce che potrebbe avere proprietà promettenti per il trattamento degli stati del dolore che derivano da una serie di malattie e che spesso stimolano l’attività in questi recettori. Il CBDA ha poca affinità con gli altri recettori del sistema endocannabinoide, ma inibisce i mediatori dell’infiammazione chiave come il COX-1 e COX-2. In particolare, è di una certa importanza la sua azione sul COX-1, in quanto recenti ricerche hanno suggerito che questo enzima può essere un obiettivo promettente per ridurre le convulsioni.

Il COX-2 invece è un enzima responsabile di una vasta gamma di processi infiammatori nel corpo, e l’inibizione di questo enzima può aiutare a trattare i sintomi di numerosissime malattie, dato che l’infiammazione è una costante comune nella maggior parte dei disturbi. Inibendo questi enzimi, potrebbe essere in grado di avere le stesse azioni di altri farmaci con meccanismo simile di azione, quali ad esempio l’acido acetilsalicilico (Aspirina), il naprossene, l’ibuprofene e la tolmetina.

Molecole di azione sinergica

Molte testimonianze hanno dimostrato che il CBD e il CBDA funzionano meglio se in combinazione, specialmente per malattie come l’epilessia. Sono necessarie azioni combinatorie di questi composti, perché le malattie sono spesso causate dalla errata regolazione di più sistemi fisiologici nel corpo. Gli scienziati che studiano la fisiopatologia di queste malattie possono imparare da questi risultati, chiarendo ulteriormente i meccanismi della malattia. Il CBD e il CBDA hanno incredibili proprietà terapeutiche, in particolare perché completano l’attività l’uno dell’altro.

Dati molto recenti hanno rivelato che gli acidi cannabinoidi (come il CBDA) possono aiutare l’assorbimento e il metabolismo del CBD o di altri fitocannabinoidi. Inoltre, la somministrazione di CBDA con il CBD diminuisce la quantità di CBD necessaria per raggiungere lo stesso livello di efficacia.

Fonte: https://www.endoca.com/it/tutto-sul-cbd/cosa-e-il-sistema-endocannabinoide

Per decenni i ricercatori hanno indagato gli effetti degli acidi grassi omega 3 sulla salute del cuore e l’influenza di questi nel ridurre il rischio di malattie cardiovascolari.

Gli Omega-3 sono parti importanti delle membrane cellulari del corpo e aiutano il funzionamento di cuore, polmoni, sistema immunitario e sistema ormonale.

Esistono tre tipi di acidi grassi omega-3:

– acido docosaesaenoico (DHA)

– acido eicosapentaenoico (EPA)

– acido alfa-linolenico (ALA)

I livelli di DHA sono particolarmente alti negli occhi, nel cervello e nelle cellule spermatiche.

L’EPA può avere alcuni benefici per ridurre l’infiammazione.

Il corpo scompone ALA in EPA e DHA, ma il tasso di conversione è basso.

Per questo motivo, le persone dovrebbero includere tutti e tre gli omega-3 nella loro dieta.

Uno studio pubblicato nel 2017 aveva dimostrato che un’alta dose di acido eicosapentaenoico (EPA) nei pazienti con elevato rischio di incorrere in malattie cardiache abbassava il rischio di tali patologie in maniera significativa – tanto che sia la Food and Drug Administration (FDA) che l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) hanno approvato la prescrizione di integratori a base di EPA per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari in pazienti con livelli di trigliceridi alti.

Tuttavia, studi successivi sugli integratori a base di omega 3 che combinano l’EPA con l’acido docosaesaenoico (DHA) hanno dato risultati contrastanti.

I ricercatori del Brigham and Women’s Hospital (Boston) hanno condotto uno studio sui dati di 38 integratori di acidi grassi omega 3, alcuni EPA-monoterapici e altri con una preparazione mista contenente EPA e DHA, testandoli su 149.000 partecipanti; non sono stati testati integratori con la presenza del solo DHA.

La ricerca è stata pubblicata su Lancet (Eclinical Medicine) una delle 5 riviste scientifiche più importanti al mondo.

Hanno valutato l’insorgenza delle principali malattie cardiache, sia fatali che non fatali, e della fibrillazione atriale.

In questa revisione sistematica e meta-analisi, è stata notata una moderata certezza di prove a favore degli acidi grassi omega-3 per ridurre la mortalità cardiovascolare e gli esiti finali.

L’entità delle riduzioni relative era robusta negli studi EPA rispetto a quelli di EPA+DHA, suggerendo effetti differenziali di EPA e DHA nella riduzione del rischio cardiovascolare.

Questi risultati hanno anche importanti implicazioni per la pratica clinica e le linee guida terapeutiche.

Questa meta-analisi fornisce rassicurazioni sul ruolo degli acidi grassi omega-3, in particolare dell’EPA, nell’attuale quadro di trattamento della riduzione del rischio cardiovascolare e incoraggia i ricercatori a esplorare ulteriormente gli effetti cardiovascolari dell’EPA in diversi contesti clinici.

Fonte: https://www.thelancet.com/journals/eclinm/article/PIIS2589-5370(21)00277-7/fulltext

Il Sistema Endocannabinoide è stato scoperto negli anni ’60 durante lo studio degli effetti del THC, la molecola psicoattiva della Cannabis, sul sistema nervoso. Nonostante il Sistema Endocannabinoide rivesta un ruolo chiave in moltissime funzioni, una vera e propria ricerca è cominciata a partire dagli anni ’90 fino ad arrivare al giorno d’oggi.

Gli studi scientifici hanno messo in evidenza due recettori: il CB1 e il CB2. 

Il CB1 è un recettore di membrana che si trova nel Sistema Nervoso Centrale in due zone che controllano il comportamento alimentare: la zona mesolimbica, legata al piacere di assumere cibo gustoso, alcool, nicotina e droghe, e la zona ipotalamica, legata alla produzione di molecole che regolano l’apporto di cibo. In seguito, i recettori CB1 sono stati trovati anche negli organi che controllano il metabolismo, come il tratto gastro-intestinale, il fegato, il pancreas endocrino, il tessuto adiposo e il muscolo scheletrico.

Il CB2 invece è un recettore coinvolto nel metabolismo dell’osso e ha la capacità di modulare la risposta immunitaria.

Dalla presenza di questi recettori, si arrivò ben presto alla conclusione che dovevano esistere anche delle molecole prodotte dal corpo che vi si legassero. Vennero quindi scoperti gli endocannabinoidi ( o cannabinoidi endogeni), rappresentati da molecole di derivazioni lipidica molto simili ai cannabinoidi esogeni (o fitocannabinoidi) della Cannabis. Fu subito chiaro quindi che l’organismo è dotato di un vero e proprio Sistema Endocannabinoide che si occupa di sintetizzare, o al contrario, di smaltire questi composti.

A differenza degli ormoni tradizionali e dei neurotrasmettitori che vengono immagazzinati in vescicole secretorie fino al momento del rilascio, gli endocannabinoidi sono sintetizzati e rilasciati sul momento e degradati subito la loro azione. Il Sistema Endocannabinoide agisce quindi su richiesta, esercitando le sue azioni solo dove e quando necessarie.

Il Sistema Endocannabinoide si basa su meccanismi intra-neuronali diversi da quelli dei normali neurotrasmettitori. Ecco perché è coinvolto sia nel controllo dell’appetito sia in molte altre funzioni fisiologiche correlate alla risposta allo stress e al mantenimento dell’omeostasi.

Gli endocannabinoidi hanno proprietà neuro-protettrici, sono in grado di regolare l’attività motoria e della memoria. Inoltre, il Sistema Endocannabinoide è coinvolto nella modulazione della risposta immunitaria, infiammatoria, endocrina ed esercita anche un’azione antiproliferativa.

Gli endocannabinoidi influenzano sensibilmente anche il sistema cardiovascolare e quello respiratorio, controllando il ritmo cardiaco, riducendo la pressione arteriosa e favorendo la  bronco-dilatazione.

Da un punto di vista nutrizionale, lo studio del sistema endocannabinoide è utile per comprendere il crescente fenomeno delle malattie metaboliche e dell’obesità legate ad uno stile di vita ed ad un’alimentazione poco sana che nel tempo sfociano in sovrappeso, diabete, dislipidemie, disturbi cardio-circolatori, ipertensione, infarti e ictus.

In condizioni fisiologiche gli endocannabinoidi vengono rilasciati durante il digiuno e promuovono la spinta a nutrirsi, riducendosi una volta esaurita l’assunzione di cibo e confermando che gli endocannabinoidi sono prodotti su richiesta.

Il Sistema Endocannabinoide modula, inoltre, i circuiti del piacere, fra cui l’appetito. Il cibo ingerito svolge un’azione sulle fibre nervose della dopamina, degli oppioidi, della serotonina e della noradrenalina, le quali connettono rombencefalo e mesencefalo all’ipotalamo per modulare l’azione di appetito e sazietà.

Da un lato c’è quindi una forte correlazione tra i livelli limbici di endocannabinoidi e dopamina e l’aumentato desiderio verso il cibo gustoso. Dall’altro lato però livelli costantemente elevati di endocannabinoidi, provocando un aumento del desiderio di cibo e quindi di gratificazione, continuano ad attivare il Sistema Endocannabinoide, che richiama altro cibo e che favorisce lo stoccaggio dei grassi.

La capacità di immagazzinare i grassi da parte delle cellule adipose aumenta e questo contribuisce al sovrappeso, all’obesità e ai disturbi metabolici già descritti.

Nella pratica clinica quotidiana è importante capire se la persona ha un comportamento alimentare regolare oppure se utilizza il cibo come gratificazione, al pari di qualsiasi altra dipendenza come fumo, droghe e alcool. In quest’ultimo caso il Sistema Endocannabinoide è molto più attivo della norma e questo sembra essere correlato all’obesità viscerale. Nelle forme più gravi, il Sistema Endocannabinoide diventa anche bersaglio dei farmaci che interferiscono con questa iperattivazione bloccando i recettori CB1, considerati utili per il trattamento dell’obesità e dei relativi fattori di rischio cardiometabolico (fonte: Veronica Pacella in www.enecta.com)

In parole semplici, la carenza di endocannabinoidi (CECD) è una condizione in cui il corpo produce una quantità inferiore di cannabinoidi rispetto a ciò che è essenziale per vivere una vita sana. La teoria sostiene inoltre che c’è una linea di malattie che può essere causata da questa carenza sottostante nel corpo.

Fu il Dr. Russo a inventare questa teoria, credendo che non fosse solo una deficienza limitata a condizioni come IBS, emicrania e fibromialgia – malattie che la medicina moderna non è ancora riuscita a spiegare pienamente – ma considerò che includeva il seguente:

  • MS (sclerosi multipla)
  • Parkinson
  • malattia di Huntington
  • Depressione
  • Insufficienza neonatale a prosperare
  • Fibrosi cistica
  • Glaucoma
  • dismenorrea
  • Spreco fetale inspiegabile (aborti ripetitivi)
  • Disturbo da stress post-traumatico (PTSD)
  • Malattia bipolare

Fonti:

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18773754

http://www.giornaledicardiologia.it/allegati/00669_2008_04/fulltext/S1-4_2008_10%2074-82.pdf

 

Un nuovo metodo naturale per combattere l’ipertensione

Un nuovo metodo naturale per combattere l’ipertensione può derivare da quella che è considerata il “super alimento” del XXI secolo per l’alto contenuto di importanti principi nutritivi: l’alga spirulina, nella quale si trova un composto chimico che favorisce la vasodilatazione.

Una ricerca italiana guidata dall’Unità di Fisiopatologia Vascolare presso l’IRCCS Neuromed di Pozzilli ha scoperto un peptide che potrebbe aiutare a contrastare l’ipertensione. Nello specifico i ricercatori hanno scoperto nell’alga spirulina (Arthrospira platensis) un peptide che potrebbe consentire di mettere a punto nuove strategie terapeutiche per combattere l’ipertensione.

I ricercatori hanno scoperto che questo peptide può facilitare la vasodilatazione di vene e arterie. Il nuovo peptide scoperto dai ricercatori italiani è stato chiamato SP6. il professor Albino Carrizzo ha spiegato che: “Abbiamo iniziato la nostra ricerca simulando una digestione gastrointestinale dell’estratto grezzo di spirulina: in altre parole, abbiamo riprodotto ciò che accade nell’intestino umano dopo aver ingerito la sostanza, per isolare i peptidi che verrebbero assorbiti dal nostro organismo”. A fargli eco il professor Vecchione, direttore dell’Unità di Fisiopatologia Vascolare presso l’istituto molisano, che ha specificato che tale peptide estratto dalla spirulina potrebbe riuscire a correggere un difetto da cui sono affetti i pazienti ipertesi relativo al naturale processo di regolazione dell’endotelio da parte dell’ossido nitrico. Tuttavia serviranno altri studi per confermare l’efficacia vasodilatatrice di questa molecola, che ovviamente dovrà essere testata in test clinici sull’essere umano.

Il nuovo peptide potrebbe utilizzarsi come adiuvante naturale delle terapie farmacologiche già in uso per il trattamento dell’ipertensione arteriosa.

L’uso dei funghi medicinali come alimento o come integratore sta, negli ultimi decenni, diventando sempre più diffuso, sia da parte di medici, nutrizionisti e naturopati, sia da parte dei pazienti stessi che stanno apprendendo l’uso alimentare, tradizionale ed antico dei funghi medicinali che è quello di migliorare qualità e assimilabilità dei cibi.

 

Del resto, il loro uso terapeutico in oriente da centinaia di anni e le solide ed inconfutabili ricerche scientifiche moderne hanno suscitato l’interesse dei media e della stampa in particolare sulle possibilità terapeutiche offerte dai funghi medicinali edibili. Molta di questa eccitazione è stata generata da ricerche scientifiche prodotte in rapida successione in vari paesi del mondo: dal Giappone agli Usa, dalla Cina all’Inghilterra, dal Brasile alla Corea.

Da queste ricerche emergono dei dati univoci, ovvero che i funghi medicinali in toto, parti di essi od i loro estratti, hanno vari effetti benefici a livello organico. In particolare la maggior parte dei funghi medicinali agisce, ognuno in maniera specifica, ma tutti in generale su il metabolismo glucidico e lipidico, la chelazione di metalli pesanti, il riequilibrio del sistema immunitario e l’antagonizzazione delle spinte anomale di crescita cellulare.

E’ quindi ormai chiaro che i funghi medicinali possono sostanzialmente aiutare i pazienti in patologie per le quali la medicina ufficiale non ha proposte terapeutiche semplici o prive di effetti collaterali. Tra queste patologie possiamo includere:

diabete, ipercolesterolemia, aterosclerosi, cancro, virosi di vario tipo (epatite C, HPV, Herpes virus, Epstein virus … ), asma, allergie, etc …

I funghi medicinali hanno in comune le seguenti importanti funzioni più altre caratteristiche peculiari per ogni singola specie:

1) Stimolano le difese Immunitarie → Globuli bianchi, Anticorpi, Interferone

2) Aumentano la funzionalità depurativa del fegato in quanto contengono quasi tutti i 100-150 enzimi depurativi del fegato umano

3) Aumentano la forza del cuore e migliorano la circolazione: ↑ flusso arterie coronarie del cuore ↑ ossigenazione e nutrimento del cuore ↑ la fluidità del sangue, regolano la pressione

4) Aiutano a Dimagrire e a ridurre colesterolo grassi e glicemia in eccesso

5) Aumentano le energie Psico-Fisiche: – sono ottimi anti stress ed antifatica – ansiolitici ed antidepressivi, possono aiutare a ridurre o anche a sospendere gli psicofarmaci

6) Ripuliscono e rendono in salute il derma con vari effetti: – effetto cosmetico – antinfiammatorio efficace nelle dermatiti infiammatorie – antistaminico efficace nelle dermatiti allergiche

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E’ noto che il coenzima Q offre una protezione alle cellule cardiache durante gli interventi di cardiochirurgia e sussiste una buona evidenza che la somministrazione di coenzima Q sia un valido aiuto per le normali terapie dell’insufficienza cardiaca. 

Dalla pubblicazione del primo studio clinico nel i 974 ad oggi sono stati realizzati i 6 studi clinici randomizzati verso gruppo controllo e 7 studi clinici aperti che hanno dimostrato come l’assunzione di 100 mg di coenzima Q al giorno offra ai soggetti cardiopatici (secondo la classificazione americana NYHA classe TI-TV) un miglioramento dei parametri emodinamici e della tolleranza allo sforzo.

Questi studi clinici comprendevano un totale di oltre 1000 soggetti con insufficienza cardiaca: i miglioramenti dei parametri cardiaci comprendevano un miglioramento dello stroke volume, dell’indice cardiaco e della frazione di eiezione ventricolare sinistra. I soggetti che assumono coenzima Q in genere manifestano una diminuzione della dispnea e della fatica alle gambe in particolare dopo esercizio: va sottolineato come l’apporto del Coenzima Q all’esercizio fisico possa essere importante. Dopo l’inizio della terapia con ACE-inibitori l’aumento del tempo di esercizio fisico tollerato è generalmente di i minuto mentre con 100 mg di coenzima Q arriva a 3-6 minuti.
A fronte di questi effetti il coenzima Q è estremamente ben tollerato: su oltre i 1000 pazienti l’incidenza di effetti avversi era paragonabile a quella del placebo e questi erano di tipo transitorio e minore: disturbi epigastrici (0.39%), diminuzione dell’appetito (0.23%) nausea(0, 12%). Qupres è costituito dall’associazione tra coenzima Q e estratto di biancospino. Quest’ultimo possiede oltre 14 studi clinici che dimostrano un miglioramento agli esercizi fisici e della sintomatologia dei soggetti affetti da un declino delle funzioni cardiache compatibili con la classificazione della classe TI della classificazione NYHA.

L’estratto di biancospino e il coenzima Q
Agiscono in sinergia nelle forme più lievi di insufficienza cardiaca mentre nelle classi III e IV della classificazione NYHA solamente l’elevato dosaggio del coenzima Q permette un’azione clinicamente rilevante. Va sottolineato che Qupres è un integratore alimentare che può apportare significativi benefici alle normali terapie cardiologiche, ma che non può in alcuna maniera sostituire quest’ultime.

Qupres e la terapia statinica
Sulla base della comune biosintesi tra coenzima Q e colesterolo, le statine, che sono potenti inibitori della sintesi di colesterolo provocano una diminuzione dei livelli di coenzima Q presenti nell’organismo. Questo è stato dimostrato sulla base dei livelli plasmatici di coenzima Q dei soggetti in corso di terapia statinica: alcuni effetti avversi delle statine (mialgia, fatica e la stessa rabdomiolisi) possono dipendere dalla deplezione di coenzima Q. Silver e coll (American Journal ofCardiology, 2004, vol 94: 1306-1310) hanno recentemente valutato la funzione ventricolare sistolica prima e dopo terapia con atorvastatina in un gruppo di 14 soggetti asintomatici.

Dieci dei 14 soggetti dimostravano un peggioramento della funzione ventricolare sinistra e nove di questi, che ricevettero una supplementazione di Coenzima Q (pari a i 00mg x 3 capsule al giorno) mentre continuavano l’atorvastatina recuperarono rapidamente una normale funzione ventricolare. La frazione di eiezione ventricolare è stata studiata in un gruppo di soggetti ipercolesterolemici asintomatici in terapia con simvastatina (Coiquhoun et al: European Journal of Clinical Investigation, 2005, 35:251-258).: essa diminuì in maniera significativa dopo un mese di terapia, alterazioni che perdurarono per oltre 3 ,6 mesi dopo la sospensione della terapia statinica.
Sulla base di queste considerazioni e di una forte evidenza di laboratorio è razionale e prudente suggerire a quanti in terapia con statine una integrazione con i -2 capsule al giorno di Qupres al fine di evitare eventuali effetti avversi dei farmaci.

Qupres e la pressione arteriosa
Dodici studi clinici per un totale di 362 pazienti (Rosenfeld e coll. Journal ofHypertension, 2007, 21: 297-306), costituiti da tre studi clinici randomizzati, uno studio crossover e otto studi clinici aperti, hanno dimostrato che l’assunzione di i 00 mg al giorno di coenzima Q per un mese è in grado di diminuire in maniera significativa la pressione arteriosa. Gli studi clinici randomizzati dimostrano una diminuzione media di 16.6 mmHg (12.6-20.6 mmHg) della pressione sistolica (pressione sistolica iniziale pretrattamento: 167.7 mmHg ( valori compresi tra 163.7-171.1 mmHg); pressione sistolica media dopo trattamento: 151.1 mmHg (valori compresi tra 147.1 -155.1 mmHg). La pressione diastolica diminuisce invece mediamente di 8.2 mmHg (6.2-10.2 mmHg): valori iniziali medi della pressione diastolica di 103 mmHg (valori compresi tra 101 . 105 mmHg) e valori medi diastolici dopo trattamento di 94.8 mmHg (valori compresi tra 92.8-96.8 mmHg). In particolare nello studio crossover i valori della pressione sistolica arteriosa diminuivano di 11 mmHg e quelli della pressione diastolica arteriosa di 8 mmHg.

Gli studi clinici aperti dimostrano una diminuzione della pressione sistolica di 13.5 mmHg ( 9.9-17.1 mmHg) con una pressione sistolica media prima del trattamento di i 62 mmHg (valori compresi tra i 5 8 .4-165 .7 mmHg) e una pressione sistolica media dopo il trattamento di 148.6 mmHg (145-152.2 mmllg). La pressione diastolica diminuiva di 10.3 mmHg (8.4-12.3 mmHg): valori medi inziali della pressione diastolica prima del trattamento di 97.1 mmHg (valori compresi tra 95.2-99. 1 mmHg) e dopo il trattamento di 86.8 mmHg (valori compresi tra 8.4- 12.3 mmHg).

Sulla base di questi studi clinici Qupres può diminuire la pressione arteriosa sistolica di 17 mmHg e quella diastolica di 10 mmHg nei soggetti affetti da ipertensione moderata lieve.

Qupres non diminuisce la pressione nei soggetti normotesi e non va inteso come sostituto delle normali terapie antipertensive.

 

Giovinezza, energia, buonumore: l’elisir di lunga vita è racchiuso nella pianta del Noni. Per rinforzare le difese e affrontare l’inverno con straordinario vigore.

Il benessere arriva da lontano
Giovinezza, energia, buonumore: l’elisir di lunga vita è racchiuso nella pianta del Noni. Per rinforzare le difese e affrontare l’inverno con straordinario vigore

Da tempo provoca grande entusiasmo nell’industria del benessere naturale e il suo segreto è racchiuso in un frutto che arriva da molto lontano, dall’area del Pacifico meridionale. Si chiama Noni o, se preferite, Morinda Citrifolia. Per migliaia di anni i guaritori di quelle terre hanno fatto uso di foglie, radici, cortecce, fiori e frutti della “pianta sacra” per preparare rimedi efficaci a decine e decine di problemi di salute. In Occidente, le prime ricerche sui benefici che apporta questa pianta straordinaria risalgono agli anni ’50.

Oggi, la scienza è in grado di confermare ciò di cui la tradizione erboristica delle isole della Polinesia era già a conoscenza da migliaia di anni: il Noni è un dono della natura degno della nostra più grande attenzione.

Il Noni contiene oltre 150 nutrienti come vitamine, minerali, enzimi, oligoelementi e alcaloidi benefici, oltre all’intero spettro degli aminoacidi che rende tutti i prodotti che ne derivano una completa fonte proteica. Per questo, è considerato uno dei migliori integratori alimentari reperibili sul mercato internazionale.

Il suo funzionamento passa attraverso l’attivazione della xeronina, una sostanza prodotta naturalmente al nostro interno che fornisce una struttura alle proteine, processo essenziale per la vita, e stimola la ghiandola pineale, responsabile di numerose funzioni dell’organismo e di due dei principali ormoni del sistema nervoso: Serotonina e Melatonina.

La xeronina assume dunque un ruolo fondamentale affinché tutte le cellule del corpo funzionino correttamente, consentendo alle proteine di eseguire i loro compiti.

I benefici che il Noni apporta sono davvero importanti: rinforza il sistema immunitario, attiva gli “ormoni del benessere”, allevia il dolore nelle sue varie manifestazioni, migliora la qualità del sonno, regola la pressione arteriosa, incrementa l’energia fisica e la lucidità mentale, riduce stress e affaticamento. Non solo: rigenera le cellule e fornisce al nostro corpo gli antiossidanti utili per combattere l’invecchiamento e i radicali liberi. E’ infine utile al raggiungimento di una migliore forma fisica, perché drena i liquidi in eccesso.

Insomma, il Noni è un ottimo tonico per il corpo e per la mente: una fonte di giovinezza, benessere e buonumore tutta naturale. Attenzione però: non è una medicina e non guarisce. Semplicemente, nutre l’organismo affinché possa difendersi da solo, donandogli tante sostanze preziose per la sua salute. Il tutto, in armonia con i suoi ritmi fisiologici.

Il succo di Noni fermentato è una vera innovazione: un prodotto di qualità superiore, puro al 100%, non rigenerato da polveri e senza l’aggiunta di acqua. E’ ottenuto da frutti che nascono e crescono in coltivazioni biologiche accuratamente selezionate nelle zone pantropicali, in terreni non contaminati e dove il clima è più adatto per garantire la loro prosperità.

Dai frutti di Noni fermentati naturalmente in grandi cisterne esposte alla luce solare diretta per ben 8 settimane, si ricava un succo denso, dall’aroma intenso.
Il processo di fermentazione consente al succo di autopreservarsi senza l’aggiunta di conservanti, ne migliora le caratteristiche organolettiche e permette di evitare il dannoso processo di pastorizzazione, che rischierebbe di deteriorare i principi attivi

Il succo Di NONI fermentato accentua tre fondamentali attività: 
• combatte i radicali liberi
• stimola il benessere psicofisica
• potenzia il sistema immunitaria

Questo prezioso succo è un vero elisir di benessere psicofisico. Viene custodito in una bottiglia ambrata e schermante, che preserva integro il prodotto, al riparo dalla luce solare.

Le foglie dell’olivo vengono utilizzate per uso terapeutico da migliaia di anni senza perdere di attualità. L’estratto delle foglie è efficace contro batteri, virus, funghi, organismi unicellulari, malattie da vermi ed altri parassiti. L’assunzione dell’Estratto di foglie d’olivo (EFO) “pulisce” i vasi da eventuali depositi. L’EFO aiuta di allontanare le tossine dal tessuto connettivo e dalle cellule. La capacità infiammatoria dell’organismo diminuisce in generale.

BATTERI
L’EFO viene utilizzato per molti batteri conservando la flora batterica fisiologica intestinale.
Molti studi specifici sono stati effettuati sulla sostanza principale: la Oleuropina.
L’EFO può essere utilizzato anche in casi di infezioni delle vie respiratorie superiori, Leaky-Gut-Syndrom, colon irritabile, colite ulcerosa, Morbo di Crohn, colecistiti, sinusiti, borreliosi e gastrite.
L’uso dell’EFO non è paragonabile ad una terapia antibiotica però e molto efficace e può essere eseguito senza problemi anche per mesi. La lista degli agenti patogeni include anche Borrelia, Corynebacterium, Salmonella, Helicobacter pylori, Bacillus subtilis, Stafilococcus (anche pluriresistenti), Chlamydia, batteri tubercolari.

VIRUS
Contro gli infezioni virali esistono solo pochi rimedi. Perciò l’impiego di EFO è molto interessante.
La lista dei virus trattabili include l’Epstein-Barr-virus, Human Papilloma Virus (HPV), Virus dell’Epatite A/B/C, Herpes labialis/genitalis/zoster, (Para-)Influenza, Morbillo, Parotite, Newcastle-Disease-Virus (NDV), Polio-Virus, determinati Coxsackie-Virus ecc.

FUNGHI
Gli antimicotici classici provocano spesso effetti collaterali a livello epatico, diversamente l’EFO non ha effetti collaterali per gli organi.
L’assunzione è consigliata in caso di Aspergillus niger, Candida albicans (anche orale e vaginale), micosi cutanei ed altri.
La terapia topica come tintura per applicazioni esterne è possibile in caso di micosi cutanea a livello dei piedi e delle verruche. La colorazione della pelle dovuta all’applicazione del prodotto è solo temporanea.

VERMI (ELMINTI) E ORGANISMI UNICELLULARI (PROTOZOI)
L’EFO è utile anche in caso di infezioni da elminti e protozoi. Esempi sono le infezioni da Lamblia, Ascaridi, Anchilostoma, Tenia, Malaria (anche come profilassi). L’uso esterno può essere utile in caso di pulci, pidocchi, acari ed altri agenti tropicali.
La terapia di queste infezioni può durare anche per mesi. L’uso dell’EFO è idoneo anche come trattamento complementare, perché l’estratto viene tollerato bene anche in caso di trattamenti di lunga durata.

“PULIZIA DEI VASI”
In caso di disturbi della circolazione arteriosa e venosa è utile un trattamento della causa delle placche ateromasiche con una terapia chelante, l’uso di veleni di serpente o dell’EFO. L’EFO può essere utilizzato anche in caso di una degenerazione maculare, stenosi dell’arteria renale e concomitante ipertensione arteriosa, stenosi delle arterie carotidei e cerebrali che sono accompagnati da rischio di ictus, sclerosi delle arterie coronarie con rischio d’infarto, angina pectoris, occlusione della circolazione profonda degli arti inferiori, sclerosi dell’aorta toracica o addominale ed insufficiente circolazione gastrica. Contemporaneamente va migliorata anche la fluidità del sangue aumentando l’apporto sanguigno a livello periferico (“cute pallida”) ed anche la pressione parziale dell’ossigeno, cosi si riduce indirettamente anche l’iperacidità periferica. L’assunzione contemporanea di antiaggreganti deve essere controllata dal medico. In caso di una degenerazione maculare è possibile notare già dopo tre mesi un miglioramento del campo visivo.

DISINTOSSICAZIONE
I drenanti possiedono la capacità di trasportare tossine del tessuto connettivo e delle cellule nel sangue. Sostanze tossiche depositati in profondità si mobilizzano difficilmente e l’EFO li rende solubili. Anche il drenaggio degli agenti patogeni e dei parassiti, spesso presenti in caso di un’intossicazione, viene accelerato.
E’ stato osservato anche il drenaggio di precipitati immunologici della sinovia (liquido vischioso che umetta le superfici articolari). I disturbi articolari diminuiscono o scompaiono completamente.

INFIAMMAZIONI
I polifenoli contenuti nell’EFO possiedono una capacità inibitoria sui mediatori
dell’infiammazione.
Questo vale per i Leukotriene (specificamente Leukotriene B4) e le Prostaglandine. L’EFO contiene sostanze che inibiscono la Lipossigenasi e la Ciclossigenasi. Perciò il suo effetto antinfiammatorio assomiglia a quello dell’Aspirina del gruppo degli antireumatici non-steroidei. L’effetto antidolorifico dell’EFO è comunque meno intenso.
Molti disturbi vengono accompagnati da infiammazioni come per esempio: reazioni immunitarie ed allergie, disturbi della cute e delle mucose, infezioni tissutali, foci dentali, parassitosi e molti altri.

ALLERGIE E SISTEMA IMMUNITARIO
La produzione eccessiva di determinati Leukotrieni favorisce uno squilibrio del Sistema
immunitario scatenando malattie autoimmuni come per esempio: Epatite autoimmune, Morbus Crohn, Colite ulcerosa, Sclerosi multipla, diverse malattie reumatiche, Pancreatite asintomatica e subclinica, Tiroidite di Hashimoto, Miastenia gravis, Lupus eritematodes, Sclerodermia o Vitiligo.
Una terapia d’accompagnamento con EFO può influenzare positivamente i disturbi del Sistema immunitario come anche le reazioni infiammatorie conseguenti.
La stessa cosa vale anche per l’asma, raffreddore da fieno, disturbi intestinali e Lucky-Gut-
Syndrom, dermatite atopica, psoriasi ecc.

DIABETE
L’assunzione dell’EFO migliora il valore HbA1c, l’utilizzo del glucosio e riduce cosi la componente infiammatoria delle Isole di Langerhans del pancreas.

APPLICAZIONE TOPICA
Gli effetti sopracitati ovviamente inducono anche all’applicazione cutanea dell’EFO. L’EFO in combinazione con altre sostanze in forma di crema può essere applicato in caso di dermatite atopica, psoriasi, rosacea ed altri disturbi cutanei.

ESPERIENZE TERAPEUTICHE

L’associazione dell’EFO aumenta la velocità e l’effetto di molte terapie.

Helicobacter pylori: una terapia efficace dell’Helicobacter pylori è la combinazione di Estratto di Foglie d’oliva e Zeolite / minerale vulcanico. L’EFO aggredisce l’agente patogeno e riduce la reazione infiammatoria della mucosa gastrica. La Zeolite / minerale vulcanico distrugge l’involucro d’ammoniaca del batterio, il quale lo protegge dagli acidi gastrici, e lo rende vulnerabile.

Dermatite atopica: l’assunzione dell’estratto e l’applicazione topica in forma di crema cutanea riducono molto la sintomatologia della Dermatite atopica. Lesioni cutanei migliorano subito e possono scomparire già dopo una settimana.

Psoriasi: l’estratto in forma di tintura può essere applicato direttamente sulla pelle. La colorazione dovuta al colore naturale scompare in poco tempo. In questo modo si previene anche una eventuale infezione micotica secondaria. In ogni caso é necessario associare una terapia disintossicante..

Borreliosi: in caso di una Borreliosi di lunga durata (Neuroborreliosi) gli antibiotici col tempo possono diventa meno efficaci, anche per il fatto, che l’agente patogeno (Borrelia burgdorferi) si è ritirata a livello intracellure. In questo caso è consigliabile l’associazione dell’EFO.